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In un editoriale sul caso xylella Paolo Mieli accusa i magistrati di complottismo, ma l’analisi appare piuttosto approssimativa.
Il giornalista e scrittore Paolo Mieli, in un prolisso editoriale pubblicato sul Corriere della Sera accusa la magistratura leccese di complottismo e l’intero Paese di “odiare la scienza” e di preferire credere alle teorie del complotto. Mieli è un giornalista esperto, autorevole, ma leggendo le sue affermazioni si notano molte approssimazioni che suscitano non poche perplessità.
“L’Italia sta diventando sempre più un Paese ostile al metodo scientifico e amante delle teorie del complotto. L’ennesima dimostrazione viene dal caso della «Xylella fastidiosa», batterio che produce grave nocumento all’ulivo, penetrato in Europa diciotto anni fa e più recentemente in Italia, nel Salento”. Esordisce così Mieli nel suo editoriale. Da subito ostenta sicurezza nel determinare il momento giusto in cui il batterio è entrato in Europa. Nessuno scienziato si era mai sbilanciato a tal punto. I consulenti dei magistrati leccesi parlano di almeno 15-20 anni fa, dal momento che nel Salento sono presenti ben 9 ceppi di xylella. Altri ipotizzano che addirittura sia presente da secoli e nessuno esclude che la sua introduzione sia risalente.
“Nelle Americhe la si combatte da un secolo, purtroppo senza successo”, prosegue, dimenticando di dire che lì non si estirpano le piante malate, perché è una pratica considerata inutile.
Nell’editoriale Mieli afferma che il CNR di Bari ha preso “in seria considerazione anche l’ipotesi di sradicare gli ulivi già colpiti per provare a sterminare gli insetti diffusori dell’infezione e creare un cordone sanitario che isoli le piante infette”.
In realtà la scienza è unanime nel ritenere che è impossibile sterminare sia gli insetti vettori, sia il batterio stesso. Tuttalpiù si può provare a contenere la diffusione dell’insetto e del batterio. Ma comunque la sradicazione degli ulivi non servirebbe a “sterminare” o contenere gli insetti, ma – almeno stando alle tesi degli istituti e degli scienziati incaricati di fronteggiare la questione – ad impedire che le piante malate costituiscano un serbatoio di batteri di xylella fastidiosa. Il contrasto ai vettori avverrebbe invece attraverso la trinciatura dell’erba, la pulizia dei canali e l’impiego di pesticidi.
Secondo l’interpretazione che Mieli ha dato agli atti della Procura, “i ricercatori avrebbero deliberatamente cospirato per abbattere i vecchi ulivi e soppiantarli con piante nuove”.
In realtà la Procura di Lecce ha sempre affermato che si sta indagando per una serie di reati di natura colposa (non dolosa) e che non c’è nessuna ipotesi di complotto. L’ha ribadito anche il Procuratore capo Cataldo Motta in sede di conferenza stampa, rispondendo ad una specifica domanda del giornalista Rai Marcello Favale.
“La «peste degli ulivi», secondo i magistrati leccesi, sarebbe stata volontariamente importata in Puglia dall’Olanda nell’ottobre del 2010 con un convegno ad essa dedicato”, scrive poi in un successivo passaggio, che sembra più che altro frutto di un po’ di confusione. Vero è che tutte le sottospecie di xylella, ad eccezione della Pauca (quella presente nel Salento) sono state introdotte nei laboratori dello IAM di Valenzano a fini sperimentali nel 2010 per un workshop sulla xylella. Ed è normale che i batteri nei laboratori ci entrino per volontà di qualcuno. Ma i magistrati, salvo colpi di scena, hanno escluso che il batterio sia arrivato nel Salento in quell’occasione. Affermano, invece, che la xylella – come già ricordato – è presente da almeno 15-20 anni sul territorio.
“L’inchiesta del procuratore Cataldo Motta e dei pm Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci ipotizza che gli scienziati abbiano diffuso colposamente la malattia e abbiano poi presentato i fatti in modo da poter avallare come soluzione l’eradicazione delle piante malate, per legittimare lo sterminio degli ulivi salentini”, scrive Mieli. Anche qui si ritorna forzatamente sulla teoria del complotto. La Procura sostiene che alla Commissione Europea siano stati presentati dati inesatti, ma ha escluso, almeno in questa fase delle indagini, che vi siano ipotesi di reati dolosi, complotti e cospirazioni.
Lo scrittore fa riferimento anche dei campi di sperimentazione sulla lebbra dell’ulivo: “Negli atti si parla anche di persone avvistate in tuta bianca a spalmare unguenti su alberi di ulivo, che successivamente sarebbero stati bruciati per cancellare le prove. Prove che avrebbero potuto portare al «grande vecchio» di questa cospirazione: la multinazionale dell’agroalimentare Monsanto”.