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Il piano di Boscia: “Abbattiamo tutto e lasciamo museo di 50 ulivi monumentali. Sostituiamo gli uliveti attuali con cultivar e colture resistenti a xylella”. “Nessuna garanzia su efficacia estirpazioni”.
Alla trasmissione Presa Diretta, andata in onda domenica sera su Rai 3, tra gli altri, sono stati intervistati l’ex Commissario all’emergenza xilella Giuseppe Silletti, il professor Donato Boscia del CNR di Bari e il dottor Silvio Schito, dirigente dell”Ufficio fitosanitario regionale, tutti e tre protagonisti del piano di contrasto alla xylella e al CoDiRO, tutti e tre indagati dalla Procura di Lecce per fatti alla gestione della vicenda.
Intervistato da Giuseppe Laganà, Silletti ha ammesso che le prime estirpazioni eseguite nel 2014, su 64 piante malate, non hanno dato alcun frutto. Alla domanda dell’intervistatore “E’ stata fatta secondo lei sufficiente ricerca?” ha risposto:
“E’ tutto da fare, è tutto da costruire. Ovviamente stiamo andando avanti su un dettato di legge magari non coadiuvato dalle indagini scientifiche che sono indispensabili per capire bene, anche il nostro comportamento”.
“Questo è anche un po’ grave.. c’è una legge che dice fate certe cose ma non sappiamo se va bene”, ha replicato Laganà. “Questo può essere anche un problema”, ha risposto Silletti.
Cosa si è fatto dunque dal 2013 ad oggi? L’unica risposta è stata l’estirpazione, senza la benché minima prova sulla sua efficacia e nonostante la prima campagna di abbattimenti non sia servita a nulla. E la scienza è giunta a qualche risultato importante in quasi 3 anni?
Boscia ammette: “Non abbiamo la prova, il test di patogenicità, che ci dica che xylella è l’unico responsabile del disseccamento che si sta osservando. Noi consideriamo abbastanza verosimile che la presenza di altri organismi, alcuni funghi di specie diverse, siano quantomeno degli aggravatori”.
Questa è affermazione non è tanto lontana da quanto sostenuto dai consulenti della Procura di Lecce e da altri scienziati, che pongono l’accento su quel complesso di fattori (denominato CoDiRO) che potrebbero essere causa del disseccamento rapido degli ulivi, di cui si è parlato fin da subito, ma che poi è stato accantonato concentrando l’attenzione sulla xylella.
Boscia con quell’affermazione risponde finalmente a quella domanda rimasta pendente da mesi, riguardante i risultati dei test di patogenicità, che avrebbero dovuto confermare il nesso di patogenicità tra la presenza del batterio e il disseccamento. La risposta è negativa. I test condotti in laboratorio hanno rivelato che la xylella, almeno senza il concorso di altri fattori, non è in grado di infettare l’ulivo.
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D’altro canto lo stesso Giovanni Martelli, colui che intuì la possibile presenza di xylella nel Salento, sosteneva nel 2013 che affermare che la xylella fosse la causa del disseccamento sarebbe solo frutto di congetture, aggiungendo che non vi fossero in quel momento elementi che facessero ritenere ‘X. fastidiosa’ “come l’agente primario del disseccamento rapido dell’olivo. Essa è verosimilmente coinvolta nel quadro eziologico come compartecipe”. “E’ quanto si vuole accertare – scriveva sul sito www.georgofili.info – attraverso l’isolamento (in corso) in coltura pura del batterio, che ne consenta la definitiva ed incontrovertibile identificazione e permetta la conduzione di prove di patogenicità che possano una volta per tutte accertarne il comportamento su olivo”. Il professor Martelli esigeva le prove di patogenicità prima di poter affermare il presunto ruolo che potesse avere il batterio nel disseccamento degli ulivi. Queste prove non ci sono.
Tornando all’intervista, Boscia ha affermato: “Credo che non ci sia alcuna garanzia che il piano, anche se attuato in pienezza possa essere in grado di bloccare l’epidemia. Al momento questa l’unica carta dal punto di vista tecnico per tentare di bloccare l’epidemia”. Non avendo alcuna risposta e alcuna evidenza scientifica, è stata suggerita comunque la soluzioni più drastica: l’estirpazione.
Per Boscia l’olivicoltura del Salento “ormai è andata” e fa una proposta scioccante: “Per quel che abbiamo osservato in 7 – 8 anni resteranno solo le isole verdi di questo germoplasma che sembra resistente, tipo il leccino e queste cose qua, i test di patogenicità hanno dato esito negativo.
A questo punto che facciamo? Restiamo altri 8 anni a sperare in un miracolo che non arriverà? O vogliamo prendere il toro per le corna, sederci a tavolino, pensare, e ripensare come rilanciare l’agricoltura salentina? Cioè togliere gli ulivi…
C’è la viticoltura che è immune a questo batterio, tutta una serie di coltivazioni orticole che possono essere promosse…”
“E gli alberi monumentali?”, chiede l’intervistatore.
“Si può anche lasciare come museo 50 alberi e si dice “questi sono i tronchi di quelli che erano gli alberi … Quando una pianta è morta che cosa possiamo fare?”, risponde Boscia.
Più che una risposta da scienziato, quella del professore sembra una proposta politica di lungo termine, un piano, quello di convertire l’intera agricoltura del Salento, smantellando gli uliveti, anche quelli sani (che tanto prima o poi – secondo Boscia – moriranno comunque), per sostituirli con cultivar più resistenti al batterio e ad altre specie immuni o resistenti al batterio, come viti e altre varietà orticole.
Una domanda sorge spontanea. Se nessuno ha la prova che la xylella sia un patogeno per l’ulivo, come si fa a disporre della prova che alcune cultivar siano più resistenti rispetto ad altre?
Ad ogni modo, la proposta ricorda di Boscia ricorda quella del collega Angelo Godini, del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali dell’Università di Bari, che anche ha sostenuto la necessità di estirpare gli ulivi per contenere il batterio.
Godini proponeva gli abbattimenti degli ulivi già nel 2009, non per contrastare il batterio, di cui ancora non si parlava, ma per rilanciare l’olivicoltura italiana e pugliese in particolare. Il suo piano consisteva – o consiste tuttora – nell’eliminazione degli “uliveti in esubero”, la sostituzione delle piante poco produttive con cultivar di ulivo più basse e più produttive, più adatte all’agricoltura meccanizzata intensiva e superintensiva. Per quanto riguarda gli ulivi monumentali, Godini proponeva la creazione di alcune oasi paesaggistiche. Il presupposto per l’attuazione del piano è una“pacata e serena revisione le leggi del 1945, del 1951 e del 2004 di divieto di abbattimento e/o di tutela del paesaggio olivicolo, con conseguente assunzione di scelte anche dolorose”.
Inevitabilmente le dichiarazioni di Boscia fanno venire alla mente anche il Protocollo d’Intesa del 2006 firmato da Coldiretti, Confindustria, Assessorato regionale alle Risorse Agroalimentari, Provincia di Lecce, Comune di Lecce, Comune di Casarano e Italgest di Melissano, che prevede la realizzazione da parte di Italgest “di due impianti per la produzione di energia pulita attraverso l’utilizzo di olii vegetali, per complessivi 50 MW”e l’impegno da parte di Coldiretti di favorire la riconversione di terreni che ospitano “coltivazioni non più remunerative”. Saranno per caso gli ulivi queste colture non remunerative?
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Come si diceva, a Presa Diretta è stato intervistato anche Silvio Schito. “Come mai non si sono accorti prima del 2013 del disseccamento degli ulivi?”
“Noi siamo intervenuti solo nel 2013. Non nego che i disseccamenti ci fossero già da prima, però non eravamo stati coinvolti. A me non sembra costruttivo andare a trovare il colpevole adesso, di chi o per che cosa non si è fatta qualcosa. Magari è più grave adesso dire perché non si fa qualcosa chi è che lo impedisce chi è che sta remando contro per impedire all’Ufficio fitosanitario di attuare la lotta obbligatoria”.
Nel servizio televisivo viene ricordato che inizialmente Schito criticava aspramente gli abbattimenti degli ulivi nel raggio di cento metri da ogni pianta infetta. Li considerava “devastanti e privi di efficacia”. Schito ha risposto sostenendo che all’epoca l’Unione Europea voleva abbattere le piante per un raggio di 200 metri intorno alle piante infette e che c’era una sorta di trattativa in corso. Per per ottenere la riduzione di questo raggio a 100 metri, quindi afferma la Regione dovette contestare anche i 100 metri.
Difende comunque la decisione, affermando che “in assenza di sistemi alternativi, di cure nei confronti dell’ulivo sia l’unica cosa da fare oggi”. Insomma, non sapendo cosa fare si abbattono migliaia di piante, anche se probabilmente non porteranno ad alcun risultato.
Ma è vero che non ci sono sistemi alternative e cure per gli ulivi?
In verità ci sono delle sperimentazioni in corso, con risultati incoraggianti. Tra queste si ricorda quella dell’Università di Foggia con il sostegno di Copagri, basata sulla somministrazione di 13 prodotti fitonsanitari diversi, perlopiù consistenti in concimi, minerali, biostimolanti, induttori di resistenza. I primi risultati positivi già si vedono. Gli ulivi malati sottoposti a questa cura germogliano e migliorano le loro capacità fotosintetizzanti.
Marco Scortichini del Consiglio per la ricerca nell’agricoltura di Salerno sta dirigendo le sperimentazioni basate sull’uso di un prodotto fitosanitario che, secondo i primi risultati, ha prodotto la scomparsa totale o la notevole riduzione dei sintomi da disseccamento.
Sotto la guida del professor Cristos Xiloyannis dell’Università della Basilicata, è stato adottato un sistema di concimazione guidata, con qualche aggiunta, la potatura leggera regolare annuale e la trinciatura legno, che arricchisce il terreno di elementi indispensabili per la pianta, come il carbonio. Secondo il docente, il rimedio delle estirpazione è inattuabile, oltre che inutile. Per lui le piante vanno salvate e curate.
L’azienda Coppola di Gallipoli ha curato 450 alberi in zona Li Sauli, nell’epicentro del CoDiRO, attraverso potatura e arricchimento del terreno. “Curare costa meno che tagliare”, ha dichiarato l’imprenditore. Per i tagli lo Stato eroga 150 euro ad albero, per la cura di Coppola il costo è stato di circa 92 euro a pianta, costi che vanno a scendere anche della metà negli anni successivi. “La burocrazia ha ammazzato più ulivi di quanti ne ha salvati”, chiosa il sig. Coppola.
Cosa hanno fatto invece Regione, Governo e Comitato tecnico scientifico? Dei fondi erogati per combattere il disseccamento, 13,6 milioni sono stati impiegati per finanziare procedure per l’emergenza ed il contenimento batterio, mentre solo 170 mila euro sono stati destinato allo studio della xylella. Neanche un euro è stato destinato alle cure sperimentali.
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