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Il magistrato antimafia Nino Di Matteo sarà ospite a Lecce lunedì 22 febbraio, all’appuntamento inaugurale del ciclo “Educare alla legalità”, organizzato dal Centro servizi Interuniversitario per l’Innovazione Didattica, dal Dipartimento di Storia Società e Studi sull’Uomo e dalla Facoltà di Scienze della Formazione Scienze politiche e sociali dell’Università del Salento, in collaborazione con l’associazione Spazi Popolari.
All’importante evento saranno presenti anche gli studenti di alcuni istituti scolastici di Lecce e provincia. Introduce l’evento il prof. Nicola Grasso, docente di diritto costituzionale, con il tema “Legalità e tutela del patrimonio paesaggistico”. Seguirà quindi l’intervento del magistrato Nino Di Matteo dal titolo “La mafia dal colletto bianco” , mentre chiuderà il ciclo di interventi il professor Salvatore Colazzo, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione Scienze politiche e sociali, sul tema “Educare alla legalità”. Al termine degli interventi verrà dato spazio al dibattito e alle domande del pubblico. L’evento sarà moderato da Petra Reski, giornalista e autrice di “Santa mafia. Da Palermo a Duisburg: sangue, affari, politica e devozione”.
Obiettivo dell’incontro è quello di sensibilizzare sulla prevenzione del crimine e di educare alla legalità e alla cittadinanza.
L’evento avrà luogo nell’Aula Magna del Palazzo Codacci-Pisanelli, in Piazza Angelo Rizzo (nei pressi di Porta Napoli), a Lecce, lunedì 22 febbraio 2016, alle ore 15.30.
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Chi è Nino Di Matteo?
Antonino Di Matteo, detto Nino, classe ’61, è un magistrato antimafia, colui che in qualche modo ha raccolto l’eredità di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici e di altri magistrati che hanno dedicato la loro vita (a volte rimettendocela) a combattere la mafia. Ha anche indagato sulle stragi dei suoi predecessori.
Dal 1995 vive scortato a causa delle intimidazioni mafiose. Proprio durante intercettazioni connesse a indagini di cui lo stesso Di Matteo è titolare, il capo di Cosa Nostra Totò Riina avrebbe detto ad un altro detenuto “A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri”. Anche il latitante Matteo Messina Denaro, considerato il successore di Bernardo Provenzano, avrebbe ordinato la condanna a morte per il magistrato. Nel 2012 Di Matteo è diventato presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo. Di Matteo non ha avuto strada facile durante la sua carriera, proprio com’era accaduto con alcuni suoi predecessori, osteggiato anche da soggetti del mondo della politica, dell’informazione e forse anche della magistratura.
Si è occupato della trattativa Stato-Mafia, la scottante questione di cui si stavano occupando anche Borsellino e Falcone al momento della loro morte. Nell’ambito delle indagini fu intercettata una conversazione tra uno degli imputati al relativo processo, l’ex Ministro Nicola Mancino, e l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Secondo indiscrezioni Mancino avrebbe chiesto un aiuto all’ex Capo dello Stato. Quest’ultimo sollevò un conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo davanti alla in ordine alla distruzione di quelle conversazioni; la spuntò Napolitano, che – nonostante le richieste di diverse associazioni e parte della stampa, della politica, della società civile – non volle mai riferire il contenuto di quelle conversazioni, contribuendo di fatto a gettare ancora più ombre sulla questione dei rapporti tra la mafia e i vertici dello Stato.
In virtù di una circolare del Consiglio superiore della magistratura (CSM) del 5 marzo 2014, Di Matteo, insieme ad altri suoi colleghi del pool antimafia, non ha più potuto continuare le indagini sulla trattativa Stato-mafia. In base a questa circolare tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia sarebbero stati affidati esclusivamente a chi facesse parte della Direzione distrettuale antimafia. Di fatto si è avuto il risultato di azzerare in pochi mesi il pool antimafia di Palermo. Di Matteo non faceva più formalmente parte della DDA.
Questa decisione è stata fortemente criticata, in quanto ha sortito l’effetto di indebolire l’efficacia dell’azione inquirente nei confronti di organizzazione potente come la mafia, sia rinunciando all’esperienza e alle competenze acquisite da magistrati come Di Matteo e altri suoi colleghi, sia creando elementi di discontinuità nelle indagini.
Di recente è stato pubblicato il libro di Nino Di Matteo, a cura di Silvio Palazzolo, dal titolo “Collusi. Perché uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia”. Secondo gli autori “Cosa nostra non è sconfitta, ha solo cambiato faccia”.
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