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Un pregiudizio molto pericoloso…
Di Matteo parla quindi della necessità di superare un “pregiudizio culturale molto pericoloso”, che è quello di considerare di minore gravità gli apporti esterni alle associazioni mafiose, come il voto di scambio politico-mafioso ed il concorso esterno in associazione mafiosa, rispetto all’adesione “interna” all’associazione.
Nella realtà – sottolinea Di Matteo – sono proprio gli apporti esterni esterni (dei politici collusi, dei magistrati, delle forze dell’ordine, dei corrotti, degli imprenditori che si appoggiano alla mafia per fare affari) ad aver accresciuto in termini di potenza e prestigio la mafia. Un accordo politico è molto più importante rispetto all’adesione ad una famiglia mafiosa.
Ma – secondo il magistrato – gran parte dell’opinione pubblica, della politica ed anche della magistratura ritiene che queste condotte vadano necessariamente considerati meno gravi.
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Il sistema criminale integrato e la sostanziale impunità del corruzione
Di Matteo passa quindi a descrivere il rapporto simbiotico tra mafia e corruzione:
“Mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia. Negli ultimi anni e nostre inchieste ci siamo sempre scontrati con una realtà in cui i gruppi mafiosi si sono serviti spesso dei reati contro le Pubbliche amministrazioni commessi da pubblici ufficiali (abuso d’ufficio, turbative d’asta nelle gare pubbliche, illecita concorrenza mediante violenza o minaccia). Dall’altra parte molti gruppi imprenditoriali, non necessariamente radicati nelle regioni meridionali, quando vengono a investire nel nostro meridione si rivolgono ai gruppi mafiosi per eliminare gli ostacoli frapposti della burocrazia, consistenti, ad esempio come cambiare destinazioni d’uso di determinati terreni, o influenzare determinate decisioni dei Consigli comunali.
C’è una simbiosi sempre più stretta tra il delitto mafioso e i delitti di corruzione contro la P.A.”.
Parla di “sistema criminale integrato”, Di Matteo, con riferimento a questa simbiosi. E Cosa fa la politica?
“Ancora oggi, nonostante tutte le chiacchiere, gli annunci, i proclami politici, dal punto di vista della repressione, noi abbiamo una sistema legislativo che consente giustamente di reprimere in maniera efficace il fenomeno mafioso dal punto di vista delle sue espressioni più classiche, ma per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione – purtroppo è necessario dirlo – vige un sistema di sostanziale impunità”.
Per dimostrarlo il magistrato ricorrere a un dato del Ministero della Giustizia, secondo cui a fronte di 50 e 60 mila detenuti presenti in Italia, “i detenuti per fatti di corruzione si contano sulle dita di due mani. Sono forse poche decine. Questo astrattamente potrebbe significare che in Italia non c’è corruzione. Purtroppo significa che in Italia il fenomeno della corruzione è sostanzialmente impunito, non perché la nostra magistratura e le nostre forze dell’ordine non siano capaci di intervenire, ma perché la legislazione non è adeguata, perché nella stragrande maggioranza dei casi, anche quando si riescono a raccogliere prove certe della colpevolezza degli imputati, quei giudizi si concludono con una prescrizione del reato, perché le pene in Italia sono molto basse e conseguentemente la prescrizione del reato scatta inevitabilmente, mortificando le aspettative delle persone offese dal reato, mortificando gli sforzi della magistratura e delle forze dell’ordine, ma soprattutto offendendo quello che è il sentimento della gente comune che pretende trasparenza”.
“Eppure nonostante i tanti proclami – afferma Di Matteo – non si vuole adottare quella semplicissima riforma che adeguerebbe la legislazione italiana a quella di tanti altri Paesi, per cui al momento del rinvio a giudizio si sospende automaticamente il decorrere della prescrizione”.
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