Warning: Attempt to read property "post_excerpt" on null in /home/mhd-01/www.salentometropoli.it/htdocs/wp-content/themes/morenews/single.php on line 53
Disinteresse e poca preoccupazione per i reati dei colletti bianchi
Di Matteo sottolinea, favorevolmente, come nella nostra società è maturato un sentimento di repulsione verso i reti “predatori” della mafia, i reati di sangue, ma per quanto riguarda i reati dei colletti bianchi mafiosi, e quindi i reati di corruzione in funzione dell’interesse della mafia, c’è una certa disattenzione e sono visti con minore preoccupazione, mentre – a suo parere – sono quelli che dovrebbero preoccupare di più, perché sono quelli che minacciano maggiormente l’assetto economico della società, minano la libertà economica, insidiano la democrazia reale e portano verso una “regressione verso sistema di democrazia apparente e non sostanziale”.
Le pagine non ancora chiuse sulla storia repubblicana: gli anni di piombo e le stragi di mafia
Il PM ritorna sulla necessità di preservare la memoria e di non archiviare determinati eventi, particolarmente significativi per la storia del nostro Paese, che è stata caratterizzata “da un incalzare di eventi stragisti” (il riferimento è agli anni di piombo e alle stragi di mafia).
“Io avverto con grande disagio e preoccupazione una tendenza a dimenticare tutto, una tendenza a pericolosa a considerare dimenticare quelle pagine come pagine di storia ormai definitivamente archiviate.
Io, per il mestiere che faccio, Io so che invece proprio dalle pagine di quelle inchieste, di quei processi, di quelle sentenze, emerge una verità ancora parziale.
Non è vero che non è stato fatto nulla, non è vero che il lavoro dei magistrati è stato inutile, perché comunque, almeno per molte stragi e molti delitti eccellenti, una parte di verità è stata ricostruita, quella che riguarda gli esecutori materiali. Però da queste pagine emerge anche altro. Emergono indizi, se non addirittura prove, che accanto agli esecutori materiali (terroristi o mafiosi), hanno agito anche altri, o come ispiratori o come mandanti o come organizzatori o fiancheggiatori nella fase dell’esecuzione materiale e noi Paese abbiamo il dovere di percorrere quel solco che quel lavoro di quei processi ha già tracciato e di continuare quel lavoro. E io credo che non ci sia molta volontà in questo senso”.
“Le verità processuali possono emergere anche a distanza di molti anni. Quando in molti ambienti, anche istituzionali, persino nella magistratura, nelle forze di polizia, sento fare facile sarcasmo, riferimenti ironici sulla cosiddetta “archeologia giudiziaria”, sull’inutilità di certi sforzi nel ricostruire avvenimenti ormai lontani, continuo a indignarmi e a pensare che certe pagine, fondamentali non solo per capire, non possono considerarsi chiuse”.
[tagpress_ad_marcello]
Per Di Matteo occorre trovare il coraggio, magistrati in primis, per collegare i frammenti che emergono, comporli, valutarli insieme agli altri, evitando di frazionare le conoscenze e le prove e tentando di collegarli ad altre vicende. Occorre ad esempio approfondire i collegamenti tra Cosa nostra e l’eversione di destra. Ma il magistrato non crede che sia una volontà politica in tal senso. E per questo i magistrati che si ostinano altri colpevoli rispetto aqueste vicende “vengono penalizzati o messi nelle condizioni di non poter approfondire incisivamente questi temi”. “Forse per questo gli apparati migliori vengono indirizzati esclusivamente a privilegiare impegno e impiego di risorse per contrastare le attività più ordinare e attuali delle organizzazioni criminali (come stupefacenti ed estorsioni).
“Non è eticamente corretto dimenticare la necessità di indagare anche in altre direzioni e su altri fatti risalenti nel tempo, ma senza la cui verità noi rischiamo di essere sempre un Paese a democrazia limitata e di essere sempre istituzioni sotto il possibile ricatto di altri”.