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Il magistrato Nino Di Matteo, a Lecce, descrive la mafia nei aspetti, dal necessario legame delle istituzioni, alle responsabilità dell’informazione e della cultura. La perdita della memoria storica e la necessità di un nuovo approccio culturale nella lotta alla mafia.
Si è tenuto ieri pomeriggio il tanto atteso incontro con il magistrato Antimafia Nino Di Matteo presso l’Università del Salento. L’Aula magna dell’”Ateneo” era gremita. In tanti hanno voluto accorrere all’evento, anche se non è stato facile riuscire a trovare un posto, anche in piedi.
Di Matteo è stato assunto come simbolo da quella parte di società che pretende legalità e non accetta di convivere con la mafia, che si contrappone a ad un atteggiamento indiferente, compromissorio, o complice, giustificato con un “tanto la mafia ci sarà sempre”.
“I problemi della mafia e della camorra ci sono sempre stati e sempre ci saranno, purtroppo ci sono, bisogna convivere con questa realtà”, dichiarò nel 2001 Pietro Lunardi, all’epoca Ministro delle Infrastrutture per il secondo Governo Berlusconi.
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Ma non è così per Di Matteo, come non lo è stato per altri magistrati antimafia, che hanno lottato, mettendo a repentaglio la propria vita, o rimettendocela, per non dover convivere con la mafia.
Il suo intervento è stata una “lectio magistralis” sul fenomeno della mafia, su come agisce, su come interferisce, anche silenzioasamente, sulla democrazia e sulla società civile.
“E’ importante che il magistrato antimafia non venga considerato come un personaggio, un eroe, ma come un cittadino come tutti gli altri che crede in quello che fa”. Ha iniziato il suo intervento con questa premessa, a voler sottolineare che se ognuno fa il suo può apportare un piccolo ma significativo contributo nella lotta alla mafia che – come preciserà – non è solo un fenomeno criminale, ma un fenomeno che per sopravvivere ha bisogno dell’appoggio di uomini delle istituzioni e della società civile”.