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Su cosa si vota? Se il referendum sulle trivelle dovesse passare, quali sarebbero le conseguenze del SI? E se vincesse il NO? Chi è favorevole? Chi è contrario?
Le televisioni ne parlano poco. Un po’ di spazio in più viene dato sui giornali cartacei e su quelli online, ma è sui social network che si parla maggiormente del referendum sulle trivelle, previsto per il prossimo 17 aprile.
Come spesso capita, le informazioni che girano sui social non sempre sono esatte e talvolta generano equivoci. Intanto precisiamo subito che il referendum del 17 aprile non ferma tutte le trivelle, ma riguarda solo le attività estrattive di idrocarburi, entro 12 miglia dalla costa, già in possesso delle concessioni governative.
Sono quindi escluse le attività su terra ferma e quelle oltre le 12 miglia marine dalla costa, che continueranno a prescindere dall’esito del referendum.
Inizialmente i referendum proposti erano 6, ma il Governo, per evitare il verdetto delle urne, ha messo mano alla normativa inerente i quesiti referendari. Di conseguenza la 5 di essi sono stati considerati superati dalla Corte di Cassazione.
Ne è sopravvissuto uno, quello sul quale gli italiani sono chiamati ad esprimersi il prossimo 17 aprile e riguarda l’abrogazione di una disposizione contenuta nel Codice dell’Ambiente, introdotta dalla legge di stabilità 2016.
Recita così il quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)‘, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale‘?”
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In caso di vittoria del NO o di mancato raggiungimento del quorum (50% degli aventi diritto al voto) le compagnie che già dispongono delle concessioni potranno continuare ad estrarre idrocarburi fino ad esaurimento del giacimento. In caso di vittoria del SI, con raggiungimento del quorum, non sarà più possibile estrarre idrocarburi entro le 12 miglia marine dopo la scadenza delle concessioni già rilasciate.
In altre parole il referendum, se avesse esito positivo, escluderebbe la possibilità di rinnovo delle concessioni una volta scadute. Con il NO invece le concessioni sarebbero rinnovabili fino ad esaurimento del giacimento.
Qualunque sia l’esito del voto, in base alla normativa attuale non saranno rilasciate nuove concessioni entro 12 miglia dalla costa.
A promuovere i referendum sono state dieci Regioni italiane Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). La Regione Abruzzo si è ritirata in un secondo momento. A livello locale la posizione di contrarietà è trasversale. Sia centrosinistra che centrodestra sono contrari alle trivellazioni, quindi orientati a votare SI il 17 aprile. A livello nazionale, però, le cose si complicano.
C’è una spaccatura all’interno del PD. I militanti, quelli che non fanno parte del cerchio magico di Renzi, hanno appreso, da un documento pubblicato da AGCOM, che il loro partito è orientato verso l’astensione. Le polemiche non si sono fatte attendere, perché non solo la decisione sarebbe stata assunta senza rispettare il principio di democrazia interna, ma anche perché è mancata la comunicazione.
La decisione sarebbe stata presa dai vicesegretari, o – come si sospetta – direttamente da Renzi. Lunedì la direzione ratificherà la decisione. Ed è guerra interna, perché alcune correnti interne al PD,molti circoli locali, sono per il SI.
Una nota firmata dai vicesegretari del PD, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani risponde seccamente alle polemiche:
“Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle (che in Italia sono già bloccate entro le 12 miglia, normativa più dura di tutta Europa), non tocca il nostro patrimonio culturale e ambientale. Il referendum voluto dalle regioni costerà 300 milioni agli italiani.
I soldi per questo referendum potevano andare ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all’ambiente. E di questo parleremo durante la direzione di lunedì, ratificando la decisione presa come vicesegretari. Se il referendum passerà l’Italia dovrà licenziare migliaia di persone e comprare all’estero più gas e più petrolio. Lunedì vedremo chi ha i numeri – a norma di Statuto – per utilizzare il simbolo del Pd”.
Oltre al PD, secondo i dati AGCOM, sono per l’astensione: Circoli dell’Ambiente e della Cultura Rurale, Partito Democratico, Associazione “Ottimisti e Razionali”; Federalisti Democratici Europei sono per il NO.
Sono per il SI: L’Altra Europa con Tsipras, Confederazione Cobas, Associazione A Sud Ecologia e Cooperazione ONLUS, 4 Associazione Marevivo, Legambiente, FareAmbiente – Movimento ecologista europeo, Lega Nord Via Carlo Bellerio, Italia dei Valori, Greenpeace Onlus, Associazione “Prima le Persone”, Confederazione Italiana Agricoltori, Associazione “Rete della Conoscenza”, Gruppo Movimento 5 Stelle,14 Associazione “Possibile”, Sinistra Ecologia Libertà, Associazione “TILT! Onlus”, Federazione dei Verdi.
Le ragioni del SI fanno leva soprattutto sulla riduzione dei rischi di disastri ambientali nel mare Adriatico, che per giunta è un mare chiuso. Le ripercussioni si avrebbero sulla flora e sulla fauna ittica, sull’ecosistema marittimo, sulla salute, ma anche sul turismo e sulla pesca.
Il fronte del NO teme che una vittoria del SI porterebbe alla perdita di migliaia di posti di lavoro, soprattutto nell’Emilia Romagna, conseguente alla chiusura delle attività estrattive.
Inoltre, secondo il fronte contrario, potrebbe portare il Paese all’aumento delle importazioni di idrocarburi e si avrebbe un aumento del traffico delle petroliere nel Mediterraneo e nell’Adriatico, con aumento delle emissioni nocive e rischi di incidenti.
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