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Tra proclami, bufale e verità, cosa succede vince il Sì al referendum sulle trivelle? Cosa accade se tutto rimane come è?
Siamo agli sgoccioli ormai. Domenica si voterà per il referendum sulle trivellazioni in mare alla ricerca o l’estrazione di idrocarburi, come petrolio e gas.
Ricordiamo che il referendum riguarda solo le attività entro 12 miglia marine dalla costa (poco più di 22 chilometri) ed un’eventuale vittoria del Sì (a quorum raggiunto) non comporterebbe la cessazione immediata delle attività, ma impedirebbe che la durata delle concessioni sia illimitata, ossia “per la durata di vita utile del giacimento”. In altre parole se vincesse il Sì, alla scadenza della concessioni già rilasciate, le compagnie petrolifere dovrebbero fare i bagagli.
La normativa attuale non impedisce la realizzazione di nuovi pozzi e di nuove piattaforme, se è previsto dal programma di lavoro di una concessione già esistente. Ad esempio la piattaforma Vega dell’Eni, potrebbe essere affiancata da una nuova piattaforma (Vega B), in quanto il relativo progetto è già oggetto di concessione.
Il mantra ripetuto dal Partito Democratico e dai filo-trivelle è che il referendum è inutile. E’ partito dai vertici del PD e i più fedeli si sono allineati, così come anche un gruppo nutrito di giornalisti e adepti delle compagnie petrolifere. Una decisione calata dall’alto, dalla dirigenza, che ha indispettito e diviso ancora una volta il PD.
Ma se fosse davvero inutile, allora perché tanta paura di questo referendum? E perché il Governo non interviene per far modificare quella norma, facendo risparmiare oltre 300 milioni di euro allo Stato? Perché il premier Renzi e i suoi fidi collaboratori, vassalli e valvassori, invitano i cittadini a non andare votare, quindi a rinunciare ad uno strumento di democrazia diretta?
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E’ evidente che il referendum è tutt’altro che privo di effetti e l’esito del voto non è assolutamente indifferente. Molti di coloro che hanno il ruolo di ripetere il mantra, probabilmente non conoscono nemmeno di cosa si stia parlando. Ma l’importante è fare il proprio dovere e recitare il copione.
Il referendum – dicono – sarebbe inutile in quanto le attività riguardano poche decine di piattaforme, ed è poca roba. Però allo stesso tempo descrivono conseguenze quasi apocalittiche in caso di vittoria del Sì: perdita di migliaia di posti di lavoro, aumento considerevole delle importazioni di greggio e gas, aumento del traffico delle petroliere nell’Adriatico, rischi di ambientali. Ma se è poca roba – come dicono loro – com’è che si avrebbero tutte queste conseguenze?
Innanzitutto non ci sarebbero dei grossi contraccolpi sulle importazioni e sul mercato del greggio e del gas. Infatti questi giacimenti incidono per circa l’1% del fabbisogno di petrolio del Paese, e circa il 3% del fabbisogno di gas. In pratica, secondo i dati del Ministero per lo Sviluppo economico, tutti i giacimenti di petrolio interessati dal referendum coprirebbero il fabbisogno energetico nazionale per poche settimane (circa 7). In realtà si sta solo cercando di raschiare il fondo.
Quindi è vero, è poca roba. Non è tutta questa grande ricchezza per il Paese.
I numeri sui posti di lavoro che verrebbero persi sono in realtà…