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L’EFSA a sua volta ha commissionato il lavoro al CNR di Bari, lo stesso finito nella bufera nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Lecce, che vede come indagati proprio due ricercatori del CNR: Donato Boscia e Maria Saponari. Al lavoro ha partecipato anche Vito Antonio Savino, del laboratorio Basile-Caramia, anch’egli indagato.
La scelta di riaffidarsi nuovamente a questi ricercatori, il cui operato è al vaglio della magistratura, appare molto discutibile e si espone a critiche e dubbi.
Lo studio non sarebbe ancora giunto a conclusione, non avrebbe risposto ai quesiti inerenti le cure sperimentali. Sebbene parziale, è stato pubblicato dall’EFSA lo scorso 29 marzo.
Da questo documento risulterebbe la tanto agognata prova di patogenicità, il nesso tra il batterio e la malattia del disseccamento (CoDiRO). Tuttavia ci sono alcuni dati che non tornano. Xylella Report ha esaminato la documentazione, con l’aiuto del professor Luigi De Bellis, Direttore del dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali (DiSTeBA) dell’Università del Salento, evidenziando dei punti da chiarire.
Per effettuare i test di patogenicità, i ricercatori hanno inoculato il batterio della xylella fastidiosa in 10 giovani esemplari (piante alte da 50 a 100 centimetri) per ognuna delle 4 varietà di olivo prese in esame (Cellina di Nardò, Coratina, Frantoio, Leccino) e 10 piantine di circa 30 centimetri (Seedlings). In totale, quindi, gli esemplari sottoposti al test sono stati 50.
Tuttavia, i risultati che vengono riportati riguardano solo 34 piante. Le altre 16 mancano all’appello. Infatti dai test risulterebbe che di 8 piante di Cellina esaminate, 7 presentavano sintomi da disseccamento; della Coratina zero su 7; della varietà Frantoio 2 su 7; delle piantine (Seedings) 1 su 5. Che fine hanno fatto le altre 16? In altra tabella, questi numeri venivano espressi tutti con denominatore 10.
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Per quanto riguarda la presenza del batterio nelle radici, il numero di esemplari esaminati cambiano. Il batterio sarebbe stato riscontrato nelle radici in 3 piante di Cellina su 3; su 0 piante di Coratina su 3; Frantoio e Leccino 1 su 3; Seedings 4 su 5.
Non è chiaro quindi il criterio utilizzato nella scelta degli esemplari. Il criterio di scelta – rileva De Bellis – può essere “ben diverso se sono state scelte piante nelle quali è già stata evidenziata una significativa mobilità del batterio o piante dove la Xylella inoculata è rimasta relativamente vicino al punto di inoculo”.
All’esplicita domanda, la ricercatrice Maria Saponari ha risposto che 3 esemplari di ogni specie sono stati sezionati per essere analizzati, quindi distrutti. Per questo il totale dei risultati non coinciderebbe con il numero di partenza (10 piante).
Ma come mai tutto questo non è riportato chiaramente nel documento e come mai non si evince da esso la sorte di questi esemplari?
In ordine alla valutazione dei risultati delle cure sperimentali, il gruppo scientifico PLH (Panel on Plant Health), incaricato dall’EFSA, non ha potuto procedere ad una disamina dei dati, anche perché i ricercatori pugliesi non hanno potuto mettere a disposizione le informazioni a causa dei limiti legati al diritto di brevetto. Tuttavia, sulla base delle esperienze precedenti (come la malattia di Pierce nella vite), il gruppo ritiene che questi trattamenti possono migliorare la salute delle piante – soprattutto se associati a pratiche agronomiche – e prolungarne la vita, sebbene non possano curarle o impedire loro di essere infettate dalla Xylella. Gli esperti ritengono, tuttavia, che occorrano ulteriori studi al riguardo. Bisogna comunque attendere circa un anno per avere i risultati definitivi delle sperimentazioni.