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Coldiretti soddisfatta, ma c’è anche scetticismo. Che sia la xylella o altro la causa del disseccamento, i leccini seccano come le altre varietà. E ci sono numerosi esempi di varietà “non resistenti” che invece si riprendono con cure semplici.
I risultati erano già stati anticipati, ma ora sono stati ufficializzati con la pubblicazione dello studio sulla rivista internazionale “Bmc Genomics”. In base alle conclusioni in esso contenute, la varietà di leccino è tollerante all’attacco del batterio della xylella fastidiosa.
La ricerca è stata effettuata dall’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IPSP-CNR) di Bari e dal Dipartimento di Scienze del Suolo della Pianta e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bari (DiSSPA-UniBa). Nello studio è stato effettuato un confronto tra i profili genetici del leccino e della ogliarola infettate dal batterio.
Secondo lo studio, la cultivar di leccino riconoscerebbe la presenza del batterio, attivando le difese immunitarie che lo renderebbero tollerante. Secondo i ricercatori avrebbe una “innata genetica tolleranza a xylella fastidiosa”. Non sarebbe così, invece, per la ogliarola, che averebbe una maggior sofferenza all’infezione.
Soddisfazione è stata espressa da Coldiretti Lecce, tramite i suoi portavoce Giuseppe Brillante e Pantaleo Piccinno, rispettivamente direttore e presidente dell’associazione di categoria.
“Nell’ambito della biodiversità che caratterizza il Salento – dichiarano – non disperiamo che la scienza riesca ad individuare ulteriori varietà ed anche cloni delle stesse Ogliarola e Cellina che possano risultare tolleranti a Xylella fastidiosa”. “Per questo – aggiungono – come Coldiretti Lecce diamo la massima fiducia al lavoro dei ricercatori e auspichiamo che si proceda in modo ancora più intenso e celere”.
Viene ora chiesta a gran voce l’abolizione del divieto di reimpianto degli ulivi, sulla base di questo studio, che potrebbe implicare la sostituzione degli ulivi della zona infetta con varietà di leccino e di altre cultivar considerate resistenti o tolleranti. In altre parole una trasformazione radicale del territorio.
Questa soluzione non può che far piacere a chi da diversi anni, ben prima dell’esplosione del caso xylella, lavorava per convertire l’olivicoltura pugliese attuale in olivicoltura intensiva e superintensiva, auspicando una revisione delle leggi sull’abbattimento degli ulivi monumentali e la “creazione mirata di oasi paesaggistiche con esemplari rappresentativi”. Tra le varietà indicate come adatte a questo tipo di olivicoltura c’è proprio il leccino. Due piccioni con una fava?
C’è però scetticismo sull’attendibilità dello studio, soprattutto nel movimento a difesa degli ulivi. Si parla di “sentenza già scritta”. A gennaio il professor Donato Boscia del CNR di Bari, ammetteva ai microfoni di Presa Diretta che la prova di patogenicità mancava. L’unica cosa che si poteva affermare era che la xylella fosse verosimilmente coinvolta nel complesso del disseccamento rapido dell’olivo. Ma già nel 2015 si parla di uno studio che si avviava verso la conclusione che avrebbe dimostrato la maggiore resistenza del leccino al batterio.
Come si può dimostrare che una varietà di ulivo è più resistente alla xylella, se ancora manca la prova che la xylella faccia seccare gli ulivi?
A marzo 2016 gli stessi scienziati di Bari inviano uno studio all’EFSA che dimostrerebbe questo nesso di patogenicità. Anche la validità di questo studio è stata messa in dubbio. C’è chi l’ha definito come un “atto difensivo”, poiché firmato da alcuni dei ricercatori indagati dalla Procura di Lecce. Ma a criticarlo dal punto di vista scientifico è stato anche il professor Luigi De Bellis, Direttore del dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali (DiSTeBA) dell’Università del Salento, il quale aveva evidenziato diversi punti da chiarire.
A parte questo, va considerato che esistono molti esempi sul territorio di ulivi tradizionali, come ogliarola e cellina di Nardò, che, pur vivendo nell’epicentro della zona infetta, non si sono ammalati, ed altri ulivi, dati per spacciati, si sono ripresi grazie a semplici cure, tornando a rivegetare e produrre.
Per contro sono altrettanto numerosi esempi di leccini duramente colpiti da disseccamento, che non dimostrerebbero di cavarsela meglio di fronte al batterio o chi per lui. Giova ancora chiedersi: è il batterio il principale responsabile del disseccamento, o la causa è da ricercare altrove?
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Articolo pubblicato originariamente su Tagpress