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Tristeza è un virus che colpisce gli agrumi. Lanciato l’allarme da Coldiretti nel tarantino. In Sicilia il Sottosegretario Castiglione propone riconversione colturale.
Non c’è pace per gli arbusti salentini. Dopo il disseccamento degli ulivi e la xylella, è stato lanciato un nuovo allarme. Si chiama tristeza ed è un virus che colpisce gli agrumi e provocherebbe il disseccamento degli alberi ospiti.
I rimedi? Estirpazione immediata e distruzione delle piante infette. Anche contro questo virus, infatti, è prevista la lotta obbligatoria. Sembra un film già visto.
Non ci sarebbe cura contro il virus, né insetticidi efficaci contro gli insetti vettori, appartenenti alla categoria degli afidi (pidocchi delle piante).
Nel nostro Paese le misure fitosanitarie obbligatorie in caso di rinvenimento di uno o più alberi affetti dal virus della tristeza sono contenuti nel decreto legge 214/2005, che recepisce la direttiva comunitaria 2024/29, e in una regolamentazione specifica che prevede l’obbligo di abbattimento di interi agrumeti nei casi in cui la presenza del virus sia “visibile” su oltre il 30% delle piante.
Ora tristeza sarebbe stato individuato su alcuni agrumi della provincia di Taranto. A lanciare l’allarme, nei giorni scorsi, è stata Coldiretti. Secondo l’organizzazione di categoria, il virus sarebbe responsabile della riduzione del 17% degli agrumeti negli ultimi cinque anni.
In provincia di Taranto la produzione rappresenta una fetta importante della produzione nel nostro Paese. In particolare, la produzione di clementini nel tarantino rappresenta il 90% della produzione nazionale.
“In base ai monitoraggi dell’osservatorio fitopatologico – dichiara Gianni Cantele su Repubblica, presidente di Coldiretti Puglia – le aree focolaio sono in provincia di Taranto. È urgente una strategia complessiva della Regione Puglia contro le numerose e incontenibili malattie delle piante che arrivano nella regione attraverso le frontiere colabrodo dell’Ue”.
Frena i toni allarmistici Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto: “il virus è stato gestito dall’osservatorio fitopatologico della Regione e non c’è una recrudescenza allarmante. Piuttosto sono gli accordi europei che rischiano di far saltare tutto il sistema agrumicolo italiano. Gli imprenditori agricoli danneggiati da Tristeza – prosegue Lazzàro – sono stati risarciti con un contributo e hanno potuti reimpiantare. Dovremmo piuttosto discutere dei prodotti importati da altri Paesi europei ed extraeuropei. Se l’Europa non cambia politica sugli agrumi importati dal Marocco, dalla Turchia e dai Paesi africani le nostre produzioni, che subiscono controlli sanitari ben più severi e complessi, continueranno a essere penalizzate”.
In Sicilia è noto dagli anni ’60: Castiglione propone conversione varietale
Il virus della tristeza non è autoctono, proviene dal Sud-Est asiatico. E’ stato individuato anche in Sud America e in diversi Paesi del Mediterraneo. In Italia è ben conosciuto dagli agrumicoltori siciliani, già dagli anni ’60. Proprio in Sicilia in questi giorni il dibattito è particolarmente vivace.
Nello scorso ottobre si è tenuto un incontro pubblico tra produttori e rappresentanti istituzionali, tra i quali il Sottosegretario del Ministero dell Politiche Agricole Giuseppe Castiglione, il quale ha dichiarato:
“Quello che serve è un piano strategico che tenga conto di tutte le priorità dell’agricoltura siciliana, a partire dalla riconversione varietale, da uno studi attento di ciò che i mercati chiedono per arrivare a produzioni finalizzate a soddisfare le richieste di chi deve acquistare i nostri prodotti. E, naturalmente, grande attenzione va posta alla questione delle fitopatie, a cominciare dalla Tristeza, facendo scelte strategiche e logistiche che siano una garanzia per le produzioni e per gli impianti futuri”.
Dunque, anche qui si parla di riconversioni agricole, proprio come si fa in Puglia a proposito di olivicoltura e xylella.
Ed è verosimile che la questione della diffusione della malattia nel tarantino venga trattata nei medesimi termini. Le varietà che verranno proposte si riveleranno anche più adatte alla coltura superintensiva?
Articolo pubblicato originariamente su Tagpress