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TAP e opere di “interesse nazionale”, da realizzare senza che Regioni e enti locali possano mettere bocca. Ecco il senso del referendum e della riforma costituzionale.
All’interno del dibattito sul referendum costituzionale è diventato protagonista il caso del gasdotto TAP.
Già a maggio il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, figlio della regista Cristina Comencini, all’epoca fresco di nomina, intervenuto ad un’assemblea di Confindustria (di cui fa parte) disse:
“I veti locali possono essere un ostacolo allo sviluppo. Ne è un esempio il TAP, il gasdotto che porterà in Italia il gas azero con approdo in Puglia. Di qui la necessità di votare sì al referendum”.
In più occasioni Calenda ha ribadito il concetto, affermando che la Regione non dovrebbe mettere bocca sulle questioni nazionali, neanche quando sono in gioco aspetti di interesse regionale e locale.
Ma il figlio della Comencini, non è l’unico a parlare di TAP e referendum costituzionale.
Per esempio, anche il parlamentare centrista Pierferdinando Casini, ex DC, ex CCD, ex UDC, secondo il quale “non è possibile che l’ultimo dei comuni possa bloccare le opere pubbliche”.
Ospite della trasmissione 8 e Mezzo ha dichiarato in sostanza che, per modernizzare il Paese, le competenze e gli interessi delle comunità locali e delle Regioni devono cedere alla volontà dello Stato:
“Tutto questo processo si chiama modernizzazione. Io sono Presidente della Commissione Esteri. Abbiamo approvato un Trattato, TAP, gasdotto: parte dall’Azerbaijan, passa sotto la Turchia, passa sotto l’Egeo, la Grecia, l’Italia, deve arrivare in Puglia. Abbiamo il contenzioso perché ci sono 220 ulivi da abbattere se arriva a Melendugno e allora il Presidente della Regione vuole spostare il tracciato e farlo arrivare a Brindisi.
Che su cose di questo tipo lo Stato abbia l’ultima parola è un fatto di civiltà”.
Appare disarmante la disinformazione di Casini. Come previsto dall’autorizzazione, gli ulivi non devono essere abbattuti ma estirpati, stoccati provvisoriamente in altro luogo e ripiantati nel luogo di origine a lavori ultimati. Gli alberi non sono 220. Sono 231 solo nell’area del micro tunnel, ma lungo il percorso di 8 chilometri le piante da estirpare sarebbero 1900, anche se l’ufficio stampa di TAP ha comunicato che il numero sarebbe stato ridotto a 1450, salvo poi rettificare a 1300. Non è molto chiaro il numero degli ulivi che dovrebbero far posto al gasdotto, ma in ogni caso non sono 220 gli alberi interessati, al contrario di quello che dice Casini in tv.
A ciò si aggiungono tutti altre migliaia di ulivi che dovrebbero subire la stessa sorte lungo la condotta che dovrebbe collegare TAP (Melendugno) a Snam (Mesagne), di competenza della società Snam.
In secondo luogo non c’è alcun veto imposto da Regione o Comune. Il progetto TAP ha ottenuto l’autorizzazione unica, contenente numerose prescrizioni da ottemperare, ma non avrebbe ottemperato completamente a nessuna di esse e non avrebbe ancora un progetto esecutivo.
Ricordiamo inoltre che TAP non avrebbe ancora avviato i lavori nei termini previsti, il che comporterebbe la decadenza dell’autorizzazione unica. La questione è anche oggetto di indagini da parte della Procura di Lecce.
In pratica TAP non riesce a partire, perché non ha adempiuto alla prescrizione relativa allo spostamento degli alberi (prescrizione A 44). Inoltre sul progetto definitivo sarebbe stata riaperta la procedura di valutazione di impatto ambientale (di competenza del Ministero), in quanto TAP ha dovuto presentare una variante al progetto.
Per farla breve, la società TAP si è impantanata con le sue stesse mani.
Cosa c’entra TAP con il referendum?
La riforma costituzionale, su cui voteremo domenica, introduce un principio pericoloso, che permetterà al Governo di fare il bello e il cattivo tempo con le competenze regionali.
E’ prevista infatti una modifica all’articolo 117 della Costituzione che permetterebbe al Parlamento, su proposta del Governo, di legiferare in materie di competenza esclusiva delle Regioni “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica” o la “tutela dell’interesse nazionale”.
Ma chi è che decide e chi è che controlla se davvero ricorrono questi presupposti?
Calenda, Casini e co. sperano che con la riforma, con l’accentramento delle funzioni verso lo Stato, l’opera di gasdotto TAP potrà essere tirata fuori dal pantano con un intervento “dall’alto”.
Le opere future
Se dovesse passare la riforma, qualsiasi opera che il governo o la maggioranza di turno dovesse ritenere di interesse nazionale, potrebbe essere imposta in barba alla legislazione regionale o agli interessi locali o regionali che potrebbero essere coinvolti. Questi interessi sarebbero tutti in mano allo Stato e potrebbero essere sacrificati senza che Regioni e enti locali possano far valere le proprie ragioni (si pensi alla pianificazione territoriale e paesaggistica, ai piani si sviluppo territoriale, turistico, ecc..).
Trivelle, centrali nucleari (ricordiamo che il Salento era stato indicato come sito idoneo ad ospitare scorie radioattive e centrali nucleari), gasdotti (non solo TAP), rigassificatori, misure ad hoc per aziende operanti in settori strategici (si pensi alle centrali elettriche, all’Ilva, ai petrolchimici, a Tempa Rossa) potrebbe colonizzare i nostri territori con la facilità con cui coltello taglia il burro.
Ecco allora il senso delle parole di Calenda, che le ricordiamo ancora una volta:
“I veti locali possono essere un ostacolo allo sviluppo. Ne è un esempio il TAP, il gasdotto che porterà in Italia il gas azero con approdo in Puglia. Di qui la necessità di votare sì al referendum”.
Articolo pubblicato originariamente su TagPress