Da Rimini al Salento, per 30mila km quadrati di mare via libera a ricerca tramite air gun. Blasi: “Contro trivelle battaglia di giustizia, civiltà, sviluppo sostenibile. Inaccettabile svendere nostri mari per pochi spiccioli”. M5S: “Reintrodurre subito Piano delle Aree”.
E’ arrivato un duro colpo alla lotta contro le trivelle nei nostri mari. Il Consiglio di Stato, infatti, ha respinto i ricorsi presentati dalle Regioni Puglia e Abruzzo, enti locali e associazioni, contro il provvedimento di compatibilità ambientale rilasciata dal Ministero dell’Ambiente a favore della società Spectrum Geo Lfd, impegnata nelle ricerche di petrolio in mare Adriatico con la tecnica dell’air gun.
Il Consiglio di Stato, organo di giustizia amministrativa di secondo grado, ha confermato la decisione del TAR Lazio del 2016. I motivi addotti dalle Regioni, i cui mari sono quelli maggiormente coinvolti in queste attività, sono stati ritenuti inammissibili e infondati.
Nel nostro Paese, gli organi di giustizia amministrativa svolgono un esame di legittimità formale, non potendo entrare nel merito delle decisioni, non si affidano alle consulenze tecniche, perché hanno davanti un limite: quello della “discrezionalità tecnica”. Questo significa che non possono mettere in discussione una valutazione tecnica svolta da organi delle pubbliche amministrazioni. Gli eventuali profili di illegittimità di un provvedimento amministrativo possono essere valutati solo dal punto di vista formale, come violazioni di legge, violazioni delle procedure, motivazione mancante, insufficiente o contraddittoria, incompetenza, ecc…
I giudici del TAR, prima, e del Consiglio di Stato, poi, hanno ritenuto che dal punto di vista formale è tutto in regola. Per i magistrati, i ricorrenti sarebbero stati sufficientemente coinvolti nella procedura di VIA, mentre la Legge n. 625 del 1996 che limiterebbe la zona di prospezione a 750 chilometri quadrati (la Spectrum Geo ha permessi per ben 30mila km quadrati) non sarebbe stata violata, in quanto la norma si applicherebbe alle sole attività “connotate da ricadute sul territorio chiaramente più gravose ed invasive”, non anche alle prospezioni.
Trivelle e ricarca idrocarburi: i rischi per l’economia e l’ecosistema
Le preoccupazioni delle Regioni e di chi lotta contro le trivelle sono, però, più sostanziali che formali e riguardo i potenziali danni all’ambiente, all’ecosistema, all’economia ittica e turistica, sopratutto se si considera che il mare Adriatico è un mare chiuso, con fondali poco profondi e un eventuale sversamento di greggio in mare non ne permetterebbe la dispersione e la rigenerazione.
Altro elemento critico è l’utilizzo della tecnica dell’air gun usata per la ricerca di idrocarburi, che consiste nella generazione di scosse sismiche nel sottosuolo “sparando” aria compressa nei fondali.
La Regione Puglia, con il proprio ricorso, aveva anche sollevato la questione della pericolosità dell’air gun e della sua possibile incompatibilità con un progetto di ricerca su monitoraggio e conservazione dei cetacei in Italia, invocando il principio di precauzione, non essendoci ancora sufficienti evidenze scientifiche sulla potenzialità dannosa di questa tecnica.
La questione è ancora più sentita da quando è stato registrato di recente un aumento di spiaggiamenti di cetacei (delfini e capodogli principalmente) e tartarughe sulle coste dell’Adriatico e dello Ionio, che hanno indotto a pensare che la causa del loro disorientamento sia legato all’air gun.
Ad ogni modo, sebbene la connessione non sia stata provata, questi fenomeni sono causati nella quasi totalità dei casi non da fenomeni naturali, ma da attività umane.
Sono circa 30mila chilometri quadrati di mare ad essere interessati da queste attività e la Puglia, dal Gargano a Santa Cesarea Terme, è la più coinvolta. Va precisato che al momento si effettuerà solo attività di ricerca, ma se queste dovessero dare esito positivo, allora le trivelle potrebbero entrare in azione.