E’ strategico il gasdotto TAP? Davvero ci farà risparmiare? Ne abbiamo bisogno davvero? Ci sono penali in caso di rinuncia all’opera? Cittadini e Comitati chiedono chiarezza sui costi effettivi proponendo l’”accesso civico generalizzato” agli atti.
Da oltre 5 anni il progetto di gasdotto TAP è sotto i riflettori a livello locale, nazionale e internazionale. I suoi sponsor, i governi che si sono succeduti, compreso quello attuale, l’hanno definito strategico per differenziare le fonti di approvvigionamento energetico, soprattutto per essere più indipendenti dalla Russia, facendoci dormire sonni tranquilli e promettendo sconti in bolletta.
Come tutti questi benefici si possano concretizzare è un mistero, anche perché i dati effettivamente disponibili sembrano dire altro.
L’opera potrebbe provocare dei contraccolpi per l’economia turistica, ittica e agricola sul territorio, oltre ad impatti sull’ambiente e sul paesaggio. In questo articolo ci si limiterà ad analizzare sinteticamente altri aspetti legati al rapporto costi-benefici del gasdotto TAP.
Il gasdotto TAP ci renderà indipendenti dalla Russia?
Il gas trasportato dal metanodotto dovrebbe provenire dall’Azerbaijan, precisamente dai giacimenti di Shaz Deniz, che però potrebbero non essere sufficienti ad esportare i quantitativi di gas promessi. Tant’è che l’Azerbaijan ha stipulato dei contratti di fornitura di gas naturale proprio con la Russia. Quindi il Paese azero acquisterebbe gas dalla Russia, per poi rivenderlo attraverso il TAP. Sempre di gas russo si tratterebbe. Solo nei primi 3 mesi del 2018 la società russa Gazprom ha fornito all’Azerbaijan quasi 800 milioni di metri cubi di gas.
D’altro canto la Russia non sembra essere ostile a questo progetto. Anzi, la società russa Lukoil fa è azionista al 10% del consorzio Shah Deniz.
Sarà garantita la sicurezza degli approvvigionamenti grazie al gasdotto TAP?
Il nostro risulta essere il Paese europeo più fornito d’Europa, importando gas dal nord nord Africa, dal nord Europa e dalla Russia. Prendere il gas anche dall’Azerbaijan (che in realtà, come abbiamo visto, fornirebbe gas russo) non porterebbe a maggiori benefici.
Se poi consideriamo il rapporto tra consumi di gas rispetto alle disponibilità, ci rendiamo conto che in realtà questa opera appare poco strategica da questo punto di vista.
I consumi di gas continuano a calare ormai da anni e questa tendenza si può considerare ormai come strutturale, non temporanea. Attualmente gasdotti e rigassificatori già presenti in Italia immettono nella rete quantità di gas intorno al 47% rispetto alla loro capacità totale.
L’Italia oggi ha una disponibilità di gas pari a circa 150 miliardi di metri cubi all’anno. Con l’eventuale ingresso in servizio di TAP arriveremmo, forse, ad avere la disponibilità di 160 miliardi di metri cubi di metano all’anno, aumentabili fino a 170 miliardi. Un incremento tutto sommato modesto e per giunta in controtendenza con il calo di consumi, che si aggirano intorno ai 70 milioni all’anno. A luglio 2018 si è registrato un ulteriore riduzione del 3,2% rispetto allo stesso mese del 2017.
Bollette del gas meno care grazie al gasdotto TAP?
Non si comprende la ragione per cui la costruzione di un nuovo gasdotto debba portare ad una riduzione del prezzo del gas. L’opera ha un costo complessivo di 45 miliardi di euro. Gli investitori dovranno essere ripagati del loro investimento e se non saranno fondi pubblici (che comunque gravano sui cittadini italiani ed europei) i costi verranno caricati sull’utente finale.
Paradossalmente anziché avere un risparmio in denaro, si avrebbe una bolletta più pesante. E’ quanto accaduto ai cittadini del livornese, in conseguenza alla realizzazione del rigassificatore OLT di Livorno, considerato strategico ed oggi scarsamente utilizzato.
Proprio in quanto strategico i costi d’investimento sono stati caricati sulle bollette dei cittadini. Così dichiarava nel 2014 Guido Bortoni, presidente dell’Autorità per l’energia e il gas, a margine del forum Gdf Suez di Milano sull’innovazione
‘Le infrastrutture strategiche rispondono a un interesse generale: è giusto perciò che il loro costo sia in parte sostenuto anche nelle tariffe’.
I costi della rinuncia all’opera
Nell’ultimo periodo si è parlato di penali a carico dell’Italia in caso di rinuncia all’opera, tuttavia in termini fumosi e confusi, senza indicarne il fondamento e la cifra esatta.
Il Sole24Ore, giornale di Confindustria, parla di un “danni complessivi” che oscillano tra 40 e 70 miliardi, a carico dell’Italia, che comprenderebbero mancati profitti per gli investitori (risarcimento danni per lucro cessante), maggiori costi di approvvigionamento (tutti da dimostrare ovviamente) e mancate entrate fiscali.
Questa stima sarebbe stata effettuata da due soci di TAP: la azera Socar e la britannica British Petroleum (BP). E Aliyev, presidente azero, manda un monito all’Italia: per uscire dal progetto bisogna pagare le penali.
Il Ministero per lo Sviluppo economico, invece, fa una stima pari a 15 miliardi. Il Ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, invece, parla di penali 8 miliardi. Oltre che sulle cifre regna anche confusione sul significato delle parole: perché le penali sono una cosa, il risarcimento danni è un’altra, la rifusione delle delle spese è un’altra ancora. Le penali sono predeterminate e fissate in qualche accordo, di cui non si ha traccia. TAP e il Ministero hanno sempre negato di aver stipulato un accordo HGA.
Bisogna inoltre considerare che il Governo italiano avrebbe anche la possibilità di revoca dell’autorizzazione anche per fatti attribuibili alla società stessa, mentre nella valutazione dei danni bisognerebbe tener conto anche di eventuali danni cagionati proprio da TAP al territorio.
Comitati e Cittadini No TAP vogliono chiarenza e propongono l’”accesso civico generalizzato” agli atti
A seguito della diffusione di queste notizie confuse, Comitati e Cittadini NoTap hanno avviato, con il supporto legale del Professor Michele Carducci dell’Università del Salento, la procedura di cosiddetto “accesso civico generalizzato”, al fine di acquisire tutti i documenti e le informazioni utili a conoscere fondamenti, metodo e merito di quantificazione di tali “costi”.
‘L’iniziativa, oltre a trovare legittimazione nella legislazione italiana in tema di trasparenza dell’azione pubblica, si radica nella duplice rivendicazione, da tempo portata avanti – spiega il Professor Carducci – da chi si oppone al progetto TAP, del pieno e rigoroso rispetto sia della Convenzione di Aarhus sul diritto di informazione e partecipazione del pubblico nelle questioni ambientali, sia dell’Accordo di Parigi sul clima, del 2015.’
‘Il nuovo principio del c.d. “drawdown”, contenuto in quest’ultimo documento internazionale vincolante l’Italia e l’Unione europea, impone a tutti i poteri pubblici e privati – prosegue il docente – di modulare le analisi costi-benefici su nuovi indicatori di qualificazione e valutazione, fatti propri dall’OCSE e sintetizzabili in due elementi determinanti, che distinguono nettamente l’Europa dall’Azerbaijan: la tutela della cosiddetta “sicurezza climatica” nel mantenimento di un’opera privata; il rispetto dei diritti umani come condizione di assecondamento degli interessi economici privati nei rapporti tra più Stati, secondo gli standard del Consiglio d’Europa (standard non garantiti dallo Stato azero).’
‘Pertanto, l’avvio dell’accesso civico mira a rendere note nei dettagli le fonti a disposizione del Governo italiano per l’utilizzo di tali metodologie, senza le quali – conclude – qualsiasi analisi costi-benefici risulterebbe anacronistica e dannosa per i cosiddetti “diritti delle generazioni future”, anch’essi fatti propri dalla Convenzione di Aarhus e dall’Accordo di Parigi.’
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