Il dottor Stefano Manera, medico di terapia intensiva all’Ospedale di Bergamo, spiega le fasi della malattia provocata dal nuovo Coronavirus e la terapia. Spiega inoltre che i pazienti giunti in rianimazione avevano un grave stato infiammatorio pregresso. Anche per questo insiste sull’importanza della prevenzione. Sul vaccino entro l’anno è perplesso e preoccupato.
Nel precedente articolo sono stati esposti degli aspetti molto importanti e interessanti sul nuovo Coronavirus (Covid-19), tratti dall’intervista rilasciata a Contro.tv dal dottor Stefano Manera, medico di anestesia e rianimazione all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, con particolare riguardo alle problematiche hanno incontrato i medici in primi linea nel trattamento dei pazienti gravi affetti da Covid-19.
In questo nuovo articolo si parlerà di cura, prevenzione e vaccino e dei fattori che hanno aggravato la malattia provocata dal nuovo Coronavirus nei pazienti ricoverati in terapia intensiva.
Covid-19: le fasi della malattia e la terapia
La malattia provocata dal Covid-19 può essere divisa in tre grandi fasi. Nella prima fase il paziente presenta sintomi parainfluenzali (febbre, malessere generalizzato, mal di testa, ecc…) Nella seconda fase, che è più breve, il paziente inizia ad avere sintomi respiratori più seri, come dispnea, ipossia, desaturazione, fino quando in poco tempo si giunge alla terza fase in cui si registra l’iperinfiammazione, la tempesta citochinica e la coagulazione intravasale disseminata.
Va precisato che la maggior parte dei soggetti infetti da Covid-19 non presenta sintomi oppure presenta sintomi lievi, che supera spontaneamente. Nei casi più gravi, minoritari, si passa alla seconda o alla terza fase.
Il dott. Manera sostiene l’importanza di intervenire tempestivamente nella prima e nella seconda fase. “Si è visto con l’esperienza delle settimane passate -afferma- che lasciare il paziente in casa in questa fase, magari solo con la Tachipirina, permette l’evoluzione della malattia, che entra subito in seconda fase”.
“Noi abbiamo visto i pazienti -prosegue- arrivare in ospedale in terza fase, quella più grave, dell’iperinfiammazione, della tempesta citochinica, della coagulazione intravasale disseminata, quando ormai c’è una fase estremamente evoluta che necessita al 100% di una terapia intensiva rianimatoria di alto livello. Quindi possiamo e dobbiamo intervenire sulla prima e anche sulla seconda fase, quando il paziente è ancora a casa. Abbiamo questa possibilità, abbiamo i farmaci antivirali, abbiamo la famosissima idrossiclorochina (Plaquenil), che è un farmaco che costa pochissimo, ma che si è visto avere degli ottimi risultati soprattutto quando somministrato nella prima fase. Noi in questo modo riusciamo a curare le persone a casa e soprattutto a fare in modo che quelle che poi arrivano in ospedale a causa di complicazioni sia in numero decisamente più ridotto.”
La terapia, dunque, consiste in particolare nella somministrazione di antivirali e di eparina a basso peso molecolare. Quest’ultimo farmaco, afferma il dott. Manera, “ha un ruolo importante nella prima e nella seconda fase della malattia, perché riduce la suscettibilità nella formazione di trombi ed è un immunomodulante, che quindi regola la risposta del sistema immunitario, che nel Covid-19 è una risposta esagerata, tant’è vero che parliamo di tempesta citochimica che è quella che porta il grande danno multiorgano del paziente.”
Aggravanti e prevenzione. Pazienti giunti in ospedale con situazione infiammatoria pregressa grave.
Il virus non fa tutto da solo ed infatti colpisce laddove trova un ospite con uno stato di salute già compromesso. “L’impressione che avevo avuto già nei primi giorni -dichiara- vedendo i pazienti ricoverati, è che erano tutti pazienti con uno stato infiammatorio preesistente estremamente elevato, cioè in sovrappeso, obesi, ipertesi o con una tendenza al diabete mellito. Erano pazienti che nella maggior parte dei casi avevano un substrato infiammatorio decisamente importante.”
Anche per questo insiste sulla necessità di attuare misure serie ed efficaci di prevenzione, affinché la popolazione sia meno cagionevole e più preparata ad affrontare i patogeni.
“E’ fondamentale -afferma- impostare il nostro lavoro di medici e di clinici sulla prevenzione, perché troppo spesso ormai i buoi sono scappati e quando i buoi scappano è difficile impostare delle cure. E il Covid-19 è un esempio eclatante che farà storia. Noi dobbiamo lavorare, siamo obbligati a farlo, sulla prevenzione individuale, ridurre quello stato infiammatorio che purtroppo nella nostra società è estremamente diffuso a causa dell’inquinamento, dell’alimentazione, dell’abuso di farmaci e di tanti altri fattori e noi abbiamo le risorse per ridurre questa infiammazione preesistente.”
“Abbiamo tantissima letteratura medica -aggiunge esemplificando- che parla dell’importanza della vitamina C, in prevenzione, dell’importanza della vitamina D, in prevenzione, dell’importanza della integrazione di oligoelementi, quali lo zinco, il selenio, del glutatione…”
“Sicuramente quello che si è visto negli anni passati per tante altre malattie -afferma- è che la prevenzione un po’ in tutto il mondo occidentale è stata messa in secondo piano, relegata ad un ruolo di subordine, mentre invece riveste un ruolo di primaria importanza, perché è l’unico modo che noi abbiamo per far sì che la popolazione sia meno malata. Una popolazione sana, viene da sé, è una popolazione che si ammala meno facilmente.”
“Perché allora -propone il medico- non facciamo una vera e propria politica, una vera campagna di sensibilizzazione, affinché le persone pratichino una vera prevenzione? La vera prevenzione non è la diagnosi precoce, ma è fare in modo che le persone non si ammalino e sono due cose completamente diverse.”
“Il Vaccino contro Covid-19? Una grossa imprudenza. Abbiamo la cura.”
Manera parte dal presupposto che ancora non ci sono esperti di Covid-19, perché l’esperienza accumulata sul nuovo Coronavirus è al massimo di 2-3 mesi, un periodo che in medicina è insignificante. Quindi ancora questo virus presenta tante incognite. Tra queste l’incertezza sul fatto che questo Coronavirus determini o meno un’immunità. E questo è un aspetto molto importante in ordine all’efficacia e all’utilità di un vaccino.
“Noi abbiamo davanti ai nostri occhi un virus -spiega il medico- con una capacità mutagena elevata e pertanto riuscire a identificare un vaccino in grado di determinare immunità su un virus che muta è un’impresa molto complicata. Oltretutto ho sentito nelle ultime ore che, vista l’emergenza, si potrebbe pensare, addirittura, di accorciare il periodo di studio del nuovo vaccino. Quindi diventerebbe un vaccino sperimentale, sperimentato sulle persone. A me sembra che ci siano un po’ troppi elementi che determinano una insicurezza di questo farmaco.”
Sono quattro le principali questioni che bisognerebbe porsi davanti ad un vaccino:
- il vaccino è sicuro?
- può creare una malattia cd. iatrogena? Cioè potrebbe far ammalare di più rispetto alla patologia preesistente?
- crea davvero una memoria immunitaria? Rende immuni alla patologia?
- quanto è durata la sperimentazione, quanto è sicuro questo farmaco?
Ma per avere risposte occorre molto tempo. Il dott. Manera osserva che “se un farmaco viene sperimentato per 3 mesi, la sperimentazione non c’è stata, è evidente. I trial normalmente parlano di un paio d’anni di ricerche, perché c’è la fase in vitro, la fase di sperimentazione su animali e la fase sui volontari. Sono fasi che durano molto tempo, perché i margini di sicurezza sui farmaci dovrebbero essere ampi. Un farmaco dovrebbe curare, non far ammalare.”
Specificando preliminarmente che sono ancora poche e vaghe le informazioni presenti sulle riviste scientifiche in merito alla ricerca sul vaccino per il Covid-19, il medico ipotizza che per avere un vaccino entro la fine dell’anno “molto probabilmente ci si basa sull’esperienza fatta sui vaccini che utilizzano altri Coronavirus e pertanto vengono saltati dei passaggi. Tutto questo -commenta il dott. Manera- mi lascia molto perplesso, la ritengo una grossa imprudenza, anche alla luce del fatto che oggi abbiamo dei farmaci somministrabili in fasi precoci che permettono di avere una riduzione netta della sintomatologia e quindi un aumento considerevole delle guarigioni.”
“Pertanto i passi, a mio modo di vedere, devono essere condotti -aggiunge- con il classico motto “minimum non nocere” che deve sempre rimanere in mente a tutti noi medici, anche agli scienziati. Questa fretta la vedo un po’ fuori luogo, sinceramente.”
Di seguito l’intervista integrale.