Il dottor Stefano Manera, medico di terapia intensiva all’Ospedale di Bergamo, parla delle criticità che hanno portato al caos in Lombardia. Spiega come agisce il Covid-19, le cure, l’importanza della prevenzione e come ora la sanità è in grado di affrontarlo senza problemi. “Il lockdown è stato necessario, ma prolungarlo sarebbe “harakiri””.
Un nemico, quando è sconosciuto, fa ancora più paura, perché non sfugge ad ogni controllo e non si sa come affrontarlo in maniera più efficace. E così è stato anche per il nuovo Coronavirus, il Covid-19. Fortunatamente ora la medicina sa come agisce questo virus e come affrontarlo.
Il dottor Stefano Manera, medico di anestesia e rianimazione all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, impegnato nel reparto Covid, si è trovato faccia a faccia col Covid-19, ha visto centinaia di pazienti arrivati in condizioni disperate nel suo reparto e la sua esperienza è, come quella dei suoi colleghi, particolarmente preziosa per la medicina.
In una videointervista concessa a Contro.Tv, pubblicata il 17 aprile, il dottor Manera racconta come agisce il Covid-19 e come va affrontato, le fasi della malattia, la cura, sottolineando anche l’importanza della prevenzione, spiegando le criticità del sistema sanitario e offrendo un interessante punto di vista sulla vaccinazione contro questo Coronavirus.
Il medico spiega inoltre che lo tsunami è ormai alle spalle e che ora la medicina è in grado di fronteggiare la malattia, curarla e tenerla sotto controllo, diversamente rispetto al momento in cui è esplosa la crisi sanitaria in Lombardia. E ritiene che un prolungamento ad oltranza del lockdown sarebbe un suicidio.
Peraltro il medico conferma quanto era già stato affermato da alcuni Istituti di ricerca, ossia che la mortalità del nuovo Coronavirus è fortunatamente molto bassa, mentre secondo un calcolo approssimativo effettuato si stima che al 20 marzo il numero dei soggetti effettivamente infetti in Lombardia era di circa 1 milione e 500 mila.
Cosa è successo in Lombardia? Perché è stata così colpita dal Covid-19
I dati ci dicono che la Lombardia è un caso unico in tutta Italia rispetto a tutte le altre regioni e questo non ha ancora una spiegazione, né tanto meno lo si può spiegare con una maggiore diffusione del contagio.
Il dottor Manera sottolinea come sia mancata la “medicina del territorio”, ossia quella effettuata dai medici di base e dalle guardie mediche, che permettono di visitare ed effettuare le diagnosi e prestare cure ai pazienti che presentano i primi sintomi.
“Purtroppo negli anni passati -afferma il medico- con i vari risanamenti e i vari tagli alla sanità, la medicina del territorio è quella che ha subito i tagli più pesanti. E molti medici, tra l’altro, si sono trovati del tutto impreparati dal punto di vista dei dispositivi di protezione individuale, si sono ammalati, molti di loro non hanno più potuto lavorare e questo ha creato un ulteriore problema. Le persone non avevano punti di riferimento, si ammalavano, si aggravavano, e necessariamente dovevano andare in ospedale perché non c’era nessuno che sul territorio fosse in grado o riuscisse a curarli”.
“I pazienti -aggiunge- venivano lasciati magari anche una settimana, dieci giorni, con la febbre e con la malattia che andava via via complicandosi e questo non faceva altro che portare agli ospedali pazienti molto gravi e che in un numero congruo arrivava in terapia intensiva. Noi abbiamo avuto veramente dei momenti molto drammatici in cui non riuscivamo più ad accogliere nessun paziente. Eravamo completamente fermi e questo è stato un grossissimo problema di salute pubblica.”
Dunque, la mancanza della medicina del territorio ” avrebbe fatto sì che i presidi di pronto soccorso e le terapie intensive circa un mese e mezzo fa venissero “letteralmente presi d’assalto, intasati completamente, gettando Lombardia e il nord Italia letteralmente nel caos.”
Per questo, secondo il Manera, “è stato indispensabile avere un momento cd. cuscinetto, il lockdown”, in quanto “questa patologia è risultata essere completamente nuova, nessuno di noi sapeva di che cosa si stesse realmente parlando, nessuno di noi conosceva esattamente la contagiosità e la letalità della patologia. Quindi era indispensabile poter aver un periodo di quiete soprattutto soprattutto anche per poter dare respiro ai pronto soccorsi e agli ospedali”.
La sanità si sarebbe trovata impreparata, avendo di fronte una nuova patologia e trovandosi nella necessità di trovare una cura. Ma un altro aspetto critico è stato, secondo l’anestesista, “quello di avere anche un numero insufficiente di medici che possano curare le persone che stanno male a casa loro. Noi ci siamo trovati in tutte e due le situazioni contemporaneamente: patologia nuova e numero di medici non adeguato all’emergenza.”
“Un lockdown prolungato sarebbe un suicidio”
Nel rispondere alla richiesta di un’opinione sul prolungamento del lockdown in tutto il Paese, il medico ha modo di spiegare di come la situazione ora sia sotto controllo e che la sanità è in grado di controllare e affrontare anche il ritorno di un picco di contagi.
“Avere un lockdown prolungato significa farsi “harakiri” (un’antica pratica suicida dei Samurai, ndr), sostanzialmente. Noi adesso la patologia abbiamo modo di conoscerla meglio, abbiamo decongestionato gli ospedali in maniera significativa, tant’è vero che il reparto di rianimazione creato per l’emergenza è stato chiuso venerdì… Il reparto chiaramente rimane e siamo sempre pronti a riaprirlo anche nel giro di poche ore, però l’abbiamo svuotato di pazienti”.
“Adesso conosciamo molto meglio la patologia, abbiamo delle conoscenze più profonde, sappiamo -prosegue- che non si tratta di una malattia che coinvolge solo il polmone, ma coinvolge tutti gli organi perché è una disfunzione endoteliale, una disfunzione dei vasi sanguigni sostanzialmente. Questo consente di applicare dei trattamenti sul territorio molto più veloci, efficaci e tempestivi. Questo cambia decisamente le cose, perché permette di avere dei pazienti che guariscono a casa e non hanno bisogno di arrivare in ospedale in condizioni disperate.”
Lo tsunami è ormai passato
Ora ci si aspetta, ragionevolmente, che il numero di pazienti possa diminuire progressivamente, anche perché il numero di contagi effettivi è stato esponenzialmente più alto rispetto ai dati ufficiali.
“Sappiamo che ormai il virus ha infettato una grandissima quota della popolazione. Un calcolo approssimativo ci permette di pensare che, al 20 di marzo, 1,5 milioni di lombardi erano infettati di Coronavirus, rimanendo con una mortalità fortunatamente molto bassa relativamente al numero di pazienti ricoverati, al numero di pazienti non ricoverati (cioè curati a casa) e il numero di pazienti senza sintomi. Questo ci permette di fare dei ragionamenti di più ampio respiro, nel senso che è possibile instaurare una terapia anche domiciliare.”
Di seguito potete guardare l’intervista integrale al dottor Manera. In un successivo articolo si parlerà della cura, della prevenzione e del suo punto di vista su un ipotetico vaccino contro il Covid-19.