Quando cesserà lo stato emergenza Covid-19? Cosa cambierà? Sarà tutto come prima o cambieranno radicalmente le nostre vite? Ci verranno richiesti sacrifici e rinunce per avere una nuova “normalità”. Cosa siamo disposti ad accettare?
Indipendentemente dalla natura di questo coronavirus, dalla sua origine e dai suoi effetti, le conseguenze a livello politico, economico e sociale sono e saranno ancora più marcate rispetto alla sua patogenicità.
Se ne è parlato quasi fin da subito. Dai canali di comunicazione istituzionale e non solo il mantra è stato: “le nostre abitudini di vita dovranno cambiare”, “niente tornerà come prima”, “solo con il vaccino saremo al sicuro”. Sono messaggi che ancora oggi riecheggiano nel mondo politico, economico, scientifico.
Peraltro, queste certezze sul futuro si sono sempre scontrate con la poche informazioni disponibili su questo nuovo coronavirus. Insomma, si sa poco del virus, ma gli addetti ai lavori sapevano fin dall’inizio che tutto sarebbe dovuto cambiare e che popolazione mondiale avrebbe vaccinarsi per essere al sicuro.
Ma cosa dovrebbe cambiare?
Anche su questo aspetto ci sono profonde divisioni. Da un lato si sottolinea di come la maggiore proliferazione e diffusione di nuovi virus, spesso di origine animale, più o meno pericolosi, costituisca il risultato della sempre maggiore diffusione di allevamenti intensivi, dell’agricoltura intensiva (che porta ad un sempre maggiore consumo di suolo e di utilizzo di prodotti industriali) e dall’inquinamento che ho ormai ha raggiunto livelli al limite della sostenibilità.
L’eliminazione degli antagonisti naturali dei patogeni, la rottura continua degli equilibri tra natura e antropizzazione, creerebbe le condizioni ideali per la mutazione e proliferazione di virus e batteri pericolosi. L’inquinamento non solo agirebbe da veicolo di trasmissione dei patogeni, ma peggiorerebbe le condizioni di salute degli organismi viventi, comprese le persone, rendendoli più vulnerabili al loro attacco.
Nel caso del Covid-19, i riflettori sono stati puntati sul forte inquinamento atmosferico delle zone maggiormente colpite (Lombardia in primis), sulla forte concentrazione di polveri sottili che, oltre ad essere gravemente dannose per l’apparato respiratorio, potrebbero trasportare il virus. Ipotesi. Tra l’altro, quello che si è osservato nei pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva, è uno stato infiammatorio pregresso, decisivo nel decorso della malattia.
D’altro canto, se il lockdown ha portato a qualcosa di positivo è la riduzione dell’inquinamento, con la natura che ha ricominciato a respirare e a riprendersi alcuni spazi.
Quindi, stando a queste considerazioni, i cambiamenti post Covid dovrebbero andare verso la sostenibilità delle attività umane e l’adozione di azioni sostanziali finalizzate alla riduzione dell’inquinamento e ad un ripristino dell’equilibrio tra la natura e l’uomo, oggi fortemente compromesso. E sicuramente bisogna reinvestire nel sistema sanitario, in un’ottica sia di prevenzione che di cura, sia dentro che fuori dagli ospedali.
Tuttavia nelle sedi politiche la politica per il futuro che si va prospettando non sembra porre tanta attenzione su questi aspetti.
Se sul tema del vaccino, per quanto molto discusso e controverso, è chiara l’intenzione di sostenere una vaccinazione di massa su scala mondiale contro il nuovo coronavirus, meno chiarezza c’è su ciò che dovrebbe cambiare a livello sociale, politico ed economico.
Sono state fatte diverse ipotesi, talvolta molto fantasiose, ma è difficile immaginare uno scenario concreto, perché sono troppo poche le informazioni disponibili e le variabili sono molto incerte. Ma intanto si può provare a leggere tra le righe di chi occupa i centri decisionali e dei gruppi di pressione.
Come diceva il sociologo Niklas Luhmann, il potere è comunicazione. Quello che succederà in Italia, in parte e in linea generale, è stato già comunicato.
Quali costi per la ripartenza?
Quando finirà il lockdown l’economia italiana si troverà in una grave situazione di depressione, paragonabile ai livelli del dopoguerra, con un tasso di disoccupazione altissimo e tante attività che non saranno in grado di riaprire. L’INPS, con le finanze già in difficoltà, non sarà più in grado di erogare pensioni e altre prestazioni assistenziali a causa della caduta del gettito contributivo dovuto al crollo dell’occupazione. Sarà quindi necessario ridurre i costi e rifinanziare l’istituto previdenziale. Ci si aspetta quindi una possibile radicale riforma delle pensioni e della previdenza sociale.
La riduzione del gettito fiscale dovuto alla chiusura delle imprese e alla perdita di posti di lavoro, unita alla necessità di riconoscere delle esenzioni fiscali e degli aiuti ad imprese e famiglie in difficoltà porteranno ad un inevitabile aumento del deficit e del debito pubblici.
Per evitare il default il nostro Paese potrebbe avere bisogno di prestiti a livello internazionale (probabile anche il ricorso al MES).
Ma ogni prestito richiede garanzie… e queste potrebbero essere rappresentate da specifiche riforme e adozione di misure fiscali.
Le piccole imprese private, dal canto loro, si ritroveranno a dover sostenere dei costi e rischi fin troppo gravosi e molte decideranno di non riaprire più. Avranno la meglio le grandi imprese e gli e-commerce che saranno in grado di cogliere l’occasione a loro vantaggio.
Dall’emergenza sanitaria a quella economico-finanziaria
Molti Paesi, e l’Italia in particolar modo, si risveglieranno tra le macerie e occorrerà far ripartire l’economia. Si parla già di nuovo “Piano Marshall”, che rievoca il piano di prestiti e aiuti che gli Stati Uniti adottarono per la ricostruzione dell’Europa nel Secondo Dopoguerra.
Ci verranno chiesti dei sacrifici e tra questi ci potrebbe essere l’accettazione di riforme che in condizioni normali non avremmo mai mandato giù. Riguarderanno probabilmente il lavoro, le pensioni, gli appalti, le opere pubbliche, l’edilizia, la scuola, la pubblica amministrazione.
Sull’altare sacrificale di questa rinascita potrebbero finire i diritti dei lavoratori, i diritti della natura, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali, la libertà e l’autonomia di impresa. E in condizioni di emergenza, con la Costituzione sospesa, con una strisciante avanzata dell’autoritarismo, potremmo non essere al riparo da prelievi sui risparmi, riduzioni di stipendi e prestazioni previdenziali.
La parole d’ordine sono “ricostruire” e “ripartire” e non ci possono essere ostacoli.
Per la fase della ricostruzione magari alla guida del Paese servirà un tecnico, un esperto di economia, l’uomo della provvidenza, il quale avrà l’arduo compito di risollevare l’Italia.
Un persona corrispondente al profilo di Mario Draghi. Già si parlava di un Governo Draghi nei primi di marzo, ma l’ipotesi appariva poco probabile. A questo punto non sembra più essere ipotesi peregrina.
Quale “normalità”?
Altre trasformazioni sociali ed economiche sono in atto, in parte spontaneamente, in altra parte come conseguenza delle misure adottate. La questione sanitaria legata al Covid cederà spazio agli aspetti politico-economici. Il ritorno alla “normalità” non è vicino come si pensa. Anzi, probabilmente la “normalità” come la conosciamo non tornerà. Forse dovremmo abituarci a cedere i diritti, a partire da privacy e libertà di cura: sarà a questo che alludono alcuni comunicatori (quindi detentori del potere, secondo la definizione di Luhmann) quando affermano che dobbiamo cambiare le nostre abitudini?