Pioggia di denaro anche per la TAV Torino-Lione, ma la parte più sostanziosa di soldi che dovrebbero entrare con il Recevery Fund è riservata alle spese militari. Nuovi armamenti con un sistema sanitario al collasso.
“Siamo in guerra!”: ce lo ripetono da febbraio e lo ha ribadito anche il Sottosegretario alla Salute Silleri. Una metafora della lotta al nuovo Coronavirus che forse il Governo ha preso un po’ troppo alla lettera, con una nuova corsa agli armamenti.
Ed infatti, mentre il sistema sanitario nazionale arranca, dimostrando tutte le sue criticità, frutto di politiche fatte di tagli di risorse e personale, chiusure di reparti e riduzione di posti letto, l’assenza di un vero piano pandemico, il Governo pensa bene di utilizzare 30 miliardi del Recovery Fund per spese militari.
A rivelarlo è il quotidiano “Il Manifesto” in un articolo del 12 ottobre a firma di Manlio Dinucci.
Il Recovery Fund è un finanziamento da 209 miliardi di euro che l’Italia riceverà (o dovrebbe ricevere) nei prossimi 6 anni. Di questi, 81 miliardi sono a fondo perduto, mentre la fetta più grossa, 128 miliardi, sono erogati a titolo di prestito da restituire con gli interessi.
L’incremento delle spese militari che si avrebbe grazie al Recovery Fund è ancora nella fase di programmazione e andrebbe ad accumularsi ai 35 miliardi già stanziati per il periodo 2017-2034. Complessivamente la spesa militare italiana arriverebbe, secondo quanto sostenuto nell’articolo, a “oltre 26 miliardi annui, equivalenti a una media di oltre 70 milioni di euro al giorno, in denaro pubblico sottratto alle spese sociali. Cifra che l’Italia si è impegnata nella Nato ad aumentare a una media di circa 100 milioni di euro al giorno, come richiedono gli Stati uniti. Lo stanziamento a tal fine di una ingente parte del Recovery Fund permetterà all’Italia di raggiungere tale livello.”
Tra i progetti militari presentati, da finanziare con il Recovery Fund, ci sarebbe la realizzazione di un nuovo caccia (il “Tempest”) nuovi elicotteri/convertiplani militari, droni, unità navali e sottomarine avanzate, investimenti nel settore delle tecnologie spaziali e satellitari, cibernetica, uso militare del 5G, ecc…
Secondo l’articolo, alcune lobby molto influenti starebbero premendo sul Governo per l’incremento delle spese militari. Tra queste spicca la Leonardo spa, società impegnata nella costruzione di velivoli militari (tra cui il famigerato caccia F-35), nella cyber security ed anche (secondo un rapporto ICAN 2019,) nella produzione di ordigni nucleari. Il maggiore azionista è il Ministero dello Sviluppo Economico (30% delle azioni) e vanta tra i suoi soci anche la Lockheed Martin, colosso dell’industria aerospaziale.
Altro denaro anche per la TAV Torino-Lione
Tra i progetti proposti per essere finanziati con il Recovery Fund rientra anche la famigerata e contestatissima TAV Torino-Lione, progetto abbandonato o sospeso da tutti i Paesi coinvolti dal mega progetto, tranne che dall’Italia, che ora batte cassa pensando di utilizzare 1 miliardo del fondo per questa grande opera.
Anche il Coi (Conseil d’Orientations des Infrastructures), dopo che già nel 2013 era stata giudicata dalla Commissione “Mobilité 21” come non prioritaria, ha escluso il progetto della TAV dai progetti infrastrutturali programmati fino al 2038, in quanto “Non è stata dimostrata l’urgenza di intraprendere questi interventi, le cui caratteristiche socioeconomiche appaiono chiaramente sfavorevoli in questa fase. Sembra improbabile che prima di dieci anni non vi sia alcun motivo per continuare gli studi relativi a questi lavori che, nel migliore dei casi, saranno intrapresi dopo il 2038”.
Vacche magre per le spese sanitarie
Questo utilizzo del Recovery Fund sa un po’ di beffa, soprattutto se si fa una comparazione con i tagli che sono stati effettuati negli ultimi anni nella sanità pubblica, smantellata pezzo e dopo pezzo e che ora si trova nelle condizioni di non poter sostenere i nuovi ricoveri per Covid-19 né di garantire le prestazioni sanitarie ordinarie. Da febbraio ad oggi si è fatto ben poco per risolvere le criticità del sistema sanitario nazionale.
Si continua a sostenere la necessità di puntare sulla medicina del territorio nella cura dei malati Covid, anche per decongestionare ospedali e presidi di pronto soccorso, spesso presi d’assalto, ma nella sostanza i medici di base stanno scomparendo. Da un’inchiesta a firma di Milena Gabanelli (di cui si riporta un video al termine del testo) è emerso che tra il 2019 e il 2020 sono andati in pensione 6.200 medici di base in Italia, ma le borse di studio previste per i neolaureati in medicina che vogliano seguire questo percorso sono appena 2.793, vale a dire meno della metà.
Le borse di studio triennali per diventare medico di base, inoltre, ammontano a 11.000 euro lorde all’anno, mentre per conseguire una specializzazione la borsa di studio annuale è di 26.000 euro, il che non costituisce certo un incentivo a scegliere la prima strada. Dall’inchiesta emerge inoltre che i corsi di formazione per medico di base partono con notevole ritardo. Quello del 2019 è partito quest’anno, mentre quello del 2020 partirà, se tutto andrà bene, a gennaio 2021. Ed infine, le somme destinate alla formazione dei medici di base sono le stesse del 1989, cioè di oltre 30 anni fa.