La gestione dell’emergenza sanitaria nel nostro Paese rientrerebbe nel concetto di dittatura costituzionale come descritto nella letteratura in materia, ma questa definizione viene rifiutata.
La parole dittatura e dittatore sono spesso utilizzate impropriamente, in maniera iperbolica, nella retorica politica per accusare il governo di turno talvolta pretestuosamente, talvolta in maniera più fondata, di adottare atti e decisioni impopolari, pericolosi per l’equilibrio democratico-istituzionale e rispetto di principi di rango costituzionale.
Tuttavia molto spesso se n’è abusato fino ad annacquarne il reale significato.
La dittatura nasce nell’antica Roma
Il termine dittatura risale ai tempi della Repubblica di Roma. Era una carica prevista per fronteggiare situazioni di guerra o di emergenza e la sua durata era limitata al perdurare dell’emergenza, o comunque non oltre sei mesi. Durante la dittatura le cariche ordinarie erano sospese e i poteri erano concentrati nelle mani del dittatore.
Col tempo la carica di dittatura iniziò progressivamente ad essere abusata e i dittatori, pur di procrastinare la durata della propria carica, inventava, amplificava o strumentalizzava le emergenze. Fu così che iniziò il declino della Repubblica, il quale sancì il passaggio all’età del Principato, in cui gli imperatori avevano un potere smisurato.
La dittatura nelle costituzioni moderne
I tratti fondamentali di una dittatura vanno ricercati proprio a partire dall’esperienza dell’antica Roma e sono costituiti da una svolta autoritaria legittimata dalla dichiarazione di uno stato d’emergenza, dall’accentramento dei poteri nelle mani del capo del governo e da un conseguente nuovo assetto istituzionale, accompagnati dalla sospensione parziale o totale dei diritti e delle libertà fondamentali, un uso prolifico di provvedimenti amministrativi contingibili (come ordinanze e decreti), anche in deroga alla legge o in sostituzione della legge.
L’eventualità di istituire una dittatura, temporaneamente e per fronteggiare un’emergenza, è contemplata esplicitamente da diverse costituzioni moderne, che ne definiscono presupposti, confini e procedure. Altre costituzioni non lo prevedono espressamente, ma virtù di un principio non scritto, quello della “autoconservazione”, si ritiene comunque legittima la sospensione parziale della costituzione e una gestione dell’emergenza con l’utilizzo di poteri speciali e derogatori.
In questi casi si parla di “dittatura costituzionale”, dove l’aggettivo “costituzionale” sta ad indicare che questa forma di dittatura si deve esercitare entro i confini della costituzione; inoltre deve rispondere ai principi di “proporzionalità” e “necessità”, cioè i poteri, la durata e le misure adottate devono essere limitate allo stretto necessario per fronteggiare l’emergenza ed essere proporzionate e adeguate alla natura e all’intensità delll’emergenza.
In particolare, il politologo Clinton Rossiter, nell’opera “Constitutional Dictatorship: Crisis Government in the Modern Democracies” ha definito i requisiti che deve avere una dittatura per essere considerata “costituzionale”. Tra questi emerge che la decisione di instaurare la dittatura spetta ad un organo diverso da quello che ne eserciterà i poteri; dunque un capo del governo non potrebbe decidere da sé di conferirsi dei poteri speciali e derogatori, in altre parole, di autoproclamarsi dittatore, né può decidere quando porvi fine. Dev’essere un altro organo indipendente a farlo.
Inoltre, il dittatore non può essere sollevato da responsabilità nell’esercizio delle proprie azioni; una legge o un provvedimento che dovesse garantire l’immunità al dittatore o ai suoi adepti oltrepasserebbe i limiti della costituzione.
Per rendere meno sinistra l’immagine delle dittature costituzionali e tranquillizzare la popolazione, nella comunicazione politica si preferisce utilizzare una diversa terminologia, come “governo di emergenza” o “governo di crisi”. La sostanza non cambia.
Il caso italiano
La Costituzione italiana non prevede espressamente l’ipotesi del governo d’emergenza o della dittatura costituzionale, che dir si voglia, ma contempla la sola ipotesi dello stato di guerra (art. 78), e conferisce al Parlamento il potere di deliberare lo stato di guerra e a conferire al Presidente del Consiglio i poteri necessari e i limiti per fronteggiarla. Nell’ipotesi in cui si presenti un’emergenza diversa rispetto alla guerra, tale da giustificare un ricorso a poteri speciali e derogatori, l’unica strada legittima sarebbe quella di seguire la stessa procedura prevista per lo stato di guerra.
Per fronteggiare l’emergenza nuovo coronavirus, invece, il capo del Governo, ha dichiarato autonomamente lo stato d’emergenza e si è conferito dei poteri speciali, violando quindi quelli che sono i postulati descritti da Rossiter. Inoltre ha compiuto questa operazione non con un atto avente forza di legge (come un decreto legislativo o un decreto-legge), ma con un provvedimento amministrativo (il famigerato DPCM), un atto che non ha natura normativa, ma amministrativa, e che estromette completamente l’unico organo elettivo e detentore della sovranità popolare (il Parlamento) e non è sottoposto al vaglio del Presidente della Repubblica.
L’utilizzo di un atto amministrativo, che per sua natura ha lo scopo di applicare ad una situazione specifica quanto disposto dalla legge, è uno strumento inappropriato e illegittimo per imporre obblighi e divieti (per giunta limitativi di diritti e libertà fondamentali) e prevedere sanzioni anche molto severe, ma soprattutto costituisce la violazione del principio di legalità.
Il rifiuto di ammettere di essere sotto dittatura
In generale i cittadini, così come la stampa, in parte preda di una suggestione generale e spirito di unità verso il nemico comune, il nuovo coronavirus, tende a rifiutare la definizione di dittatura.
Da un lato la paura del virus fa perdere di vista i limiti e la legittimità nell’uso del potere, sia in senso formale che in senso sostanziale; dall’altro la definizione tecnico-giuridica di “dittatura costituzionale” viene confusa con la retorica politica e per questo i sostenitori delle scelte del governo interpretano tale locuzione come mera polemica politica.
Infine, una terza ragione risiede nella “bontà” del fine di questa gestione emergenziale che si contrappone ad un immaginario della dittatura di tipo “maligno” (come le dittature fasciste, dell’esperienza sovietica, del sudamerica, ecc…). D’altro canto, come dice un vecchio adagio, gli ultimi ad accorgersi dell’acqua sono i pesci.
Eppure nel nostro Paese, secondo quanto ci insegnano il diritto costituzionale e le scienze politiche, è in atto una dittatura costituzionale, che però più volte ha varcato i confini della Costituzione.
Non c’è dubbio che, in nome dell’emergenza coronavirus, sono stati sospesi o compressi i diritti e le libertà fondamentali e si sia affermato un assetto di potere fortemente sbilanciato verso il capo del Governo. Per di più, sono stati introdotti divieti, obblighi, sanzioni per mezzo di provvedimenti amministrativi, anche in materie coperte da riserva di legge. Le forme non hanno rispettato i limiti costituzionali, come già spiegato, ed anche a livello sostanziale bisogna chiedersi se i principi di necessità e proporzionalità siano stati garantiti, se quindi le misure adottate, nella qualità e nella quantità, sono tutte giustificate, necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo, o se, invece, non sia stato imposto un sacrificio eccessivo agli altri valori costituzionali. E la risposta non è così scontata.
Peraltro autorevoli costituzionalisti e giuristi si sono già espressi in maniera molto critica su quanto stia accadendo nel nostro Paese.