Operatore sanitario con gravi allergie di una RSA in provincia di Taranto rifiuta il vaccino contro il Sars-Cov-2 e subisce spiacevoli conseguenze a livello lavorativo.
La vaccinazione contro il virus Sars-Cov-2 non è obbligatoria e ci sono soggetti a rischio hanno qualche ragione in più per temere le potenziali reazioni avverse dei vaccini, per via della loro condizione.
Eppure l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, come quella del rifiuto alla somministrazione di un farmaco, purtroppo talvolta dà luogo a dei comportamenti ritorsivi, se non proprio di mobbying.
E’ quello che è accaduto ad un operatore sanitario di una RSA in provincia di Taranto, con comprovate gravi allergie. Da quando ha comunicato di non voler sottoporsi a vaccinazione ha subito delle conseguenti a dir poco spiacevoli, senza alcuna apparente ragione giustificativa.
Tutto ha inizio quando agli operatori della struttura viene consegnato un modulo per esprimere il consenso o il rifiuto alla vaccinazione e raccogliere i dati anamnestici. Uno degli operatori manifesta il suo rifiuto per motivi di salute.
“Sono un soggetto fortemente allergico a diverse sostanze e in famiglia ci sono diversi casi di allergie a farmaci. Per non rischiare di mettere in pericolo la mia vita, ho ritenuto di rifiutare la vaccinazione e comunicandolo per iscritto”, spiega. Per rendere l’idea, il protagonista di questa vicenda raggiunto un grado di allergia tale da dover portare sempre con sé l’autoiniettore di adrenalina.
L’azienda ha quindi consegnato al dipendente un secondo modulo di rinuncia da compilare e restituire firmato, in cui avrebbe dovuto motivare il proprio rifiuto e dichiarare “la consapevolezza” delle conseguenze della mancata vaccinazione, con conseguente implicita assunzione di responsabilità.
“Mi sono rivolto ad un sindacato e mi hanno consigliato di non firmare quel modulo….” In effetti, a ben guardare, qualche dubbio sulla sua legittimità sorge fin da subito, come rimarcato dalla stessa organizzazione sindacale con tre diffide di cui si dirà appresso.
A questo punto la sua situazione lavorativa subisce un improvviso peggioramento.
Domenica 14 febbraio, con un giorno di preavviso, viene sottoposto a due settimane di ferie forzate, fino al 28 febbraio. Ma le sorprese non finiscono qui, perché al ritorno lo aspetta una riduzione delle ore di lavoro settimanale, da 38 a 20 ore.
“Da marzo 2018 -afferma- ho avuto il contratto a tempo indeterminato part-time, estensione dell’orario di lavoro a 38 ore settimanali. Dopo il mio rifiuto mi sono visto quasi dimezzare le ore lavorative in questi ultimi tre anni…”
Come se non bastasse gli vengono assegnati anche dei turni di lavoro più disagevoli, con l’introduzione dello spezzato. E’ l’unico dei dipendenti ad avere turni con lo spezzato.
“Abito a circa un’ora dal luogo di lavoro, per cui -racconta- non vale la pena tornare a casa alla fine del primo turno giornaliero. Tra un turno e l’altro, quando ho lo spezzato, ho 4 ore di buco. Nei giorni in cui faccio turno unico, lavoro appena 2 ore e mezzo. E’ chiaramente disagevole questa turnazione e non sembra rispondere a esigenze organizzative della struttura.”
RSA tre volte diffidata dal sindacato
Ad oggi il sindacato a cui l’operatore sanitario si è rivolto ha inviato tre diffide alla RSA, senza ricevere alcun riscontro.
Nella prima diffida, datata 11 febbraio 2021, l’associazione sindacale ammonisce la struttura contro l’imposizione del vaccino ai dipendenti, in quanto “questo va contro la libertà di scelta e di rifiuto della terapia oltre al rispetto individuale del lavoratore. La decisione -si legge- spetta al lavoratore il quale resta libero di scegliere di non vaccinarsi senza darne la motivazione e senza che la struttura ne venga a conoscenza.” “Il datore di lavoro -prosegue- non può imporre nulla né tanto meno “sanzionare” il dipendente per la mancata accettazione di un vaccino che non è obbligatorio per legge. Non sarebbe in alcun modo giustificabile imporre la vaccinazione nei confronti dei lavoratori, neppure con un accordo sindacale, come nel chiedere la motivazione del non vaccino che va a ledere l’opinione e la riservatezza del singolo che potrebbe essere soggetto a vessazioni, ed è discriminante violando la privacy. Pertanto un licenziamento, o una sanzione irrogato in queste condizioni sarebbe perfino ritorsivo, oltre ad essere sbagliato sul piano di politica del diritto.”
La seconda diffida è datata 15 febbraio e riguarda le ferie forzate, imposte peraltro con un solo giorno di preavviso, atto ritenuto “illegittimo e discriminatorio nei confronti di questo dipendente e degli altri colleghi che non hanno avuto lo stesso provvedimento di ferie forzate”.
La terza diffida, datata 24 febbraio, è a tutela della riservatezza delle informazioni personali di ogni dipendente, messe in pericolo dalla distribuzione ai dipendenti del modulo contenente la scheda anamnestica e l’obbligo di motivare la volontà di non sottoporsi al vaccino. Una richiesta ritenuta “offensiva per la libertà dei lavoratori nonché illegittima”. “Peraltro, non si comprendono -spiega il sindacato- la finalità e l’utilizzo di tali moduli che oltre a violare la privacy del singolo sono atti a ledere l’opinione e la riservatezza del singolo lavoratore che potrebbe in un secondo momento essere soggetto a vessazioni, discriminazioni.”