Misure apparentemente incomprensibili, illogiche sproporzionate rispetto all’obiettivo di contenimento del virus del Covid-19, portano migliaia di imprese al fallimento e alla depressione economica.
Quando a marzo del 2020 è stato disposto il primo lockdown in Italia, è stato presentato come una misura temporanea, di breve periodo, per contenere la diffusione del nuovo Coronavirus, per allentare la pressione sui presidi di pronto soccorso e di terapia intensiva per dare modo al sistema sanitario di riorganizzarsi, allestire i reparti Covid, formare il personale sanitario, approvvigionarsi degli strumenti e del materiale necessario per fronteggiare l’emergenza. Qualche settimana di sacrificio e tutto sarebbe tornato alla normalità, sebbene arrivassero segnali di tenore opposto.
A queste condizioni sarebbe stata accettabile la temporanea rinuncia a diritti e libertà fondamentali, come la libera circolazione, lo svolgimento di attività sociali, le visite a parenti ed amici, il diritto al lavoro e via di seguito, non ultima la libertà d’impresa.
Le imprese considerate “non essenziali” sono state costrette a sospendere le attività, mentre quelle che hanno potuto proseguire la loro attività, si sono dovute adeguare ad onerose condizioni.
La consapevolezza del rischio che tante aziende avrebbero chiuso battenti e che tanti lavoratori avrebbero perso il loro posto di lavoro era ben nota. Ma qualche pedone della scacchiera, evidentemente, era considerato sacrificabile.
Dopo un anno ancora chiusure
Se, a distanza di oltre un anno da quando è iniziato tutto, siamo ancora la punto di partenza e vengono ancora riproposte queste misure liberticide e depressive, se quando una misura di breve o brevissimo periodo diventa duratura e l’emergenza si cristallizza, allora qualcosa non ha funzionato.
In un anno, Stato e Regioni non sono stati in grado di aumentare in maniera consistente il numero di posti in terapia intensiva, né sono riusciti a garantire in maniera efficace ed efficiente la medicina del territorio, il che avrebbe scongiurato le prese d’assalto dei presidi di pronto soccorso e assicurato il trattamento adeguato dei pazienti Covid già dai primi sintomi, evitando quindi che venissero trattati solo dopo il raggiungimento della soglia di criticità.
Ed invece si continua a proporre la stessa medicina, evidentemente poco efficace, ma con effetti collaterali devastanti sulle piccole e medie imprese.
Così muore l’impresa e vanno in fumo i posti di lavoro
Di fatto le nuove misure del governo Draghi contro il Covid, dietro l’illusione di un possibile apertura parziale e limitata delle attività che fino ad oggi sono rimaste chiuse, non faranno altro che portare ad una ulteriore emorragia di posti di lavoro e chiusura delle imprese, che non riusciranno a sopportare queste condizioni e a fronteggiare gli oneri che ne derivano.
D’altro canto, dopo oltre un anno di emergenza, non si può più continuare a distinguere tra attività essenziali e non essenziali e forse non è più corretto parlare ancora di emergenza.
Ogni attività d’impresa è essenziale, essenziale per chi ci lavora, per chi in quell’attività ha una fonte di reddito con il quale mantiene sé stesso e la propria famiglia e con il quale contribuisce a far girare l’economia.
Quando l’emergenza diventa quotidianità
Non si può parlare di emergenza, perché l’emergenza è per definizione temporanea, mentre ad oggi siamo entrati in una nuova ordinarietà in cui il Capo del Governo dispone delle libertà e dei diritti costituzionali degli italiani, in una forma di Stato e di Governo che non è più quello di uno stato democratico di tipo parlamentare, ma di uno stato commissariale o dittatura costituzionale (secondo la definizione di Clinton Rossiter), la quale sta perdendo il presupposto della temporaneità e sta varcando i limiti della Costituzione.
D’altro canto, il sacrificio di uno o più princìpi costituzionali, per fronteggiare un’emergenza, non può avvenire in maniera radicale o assoluta, ma deve, anzi, cercare il minor sacrificio possibile dei princìpi serventi, assicurare una proporzione, un bilanciamento, tra fine e mezzi, tra sacrificio e beneficio.
Le misure adottate, spesso incomprensibili e apparentemente illogiche (come le chiusure anticipate dei negozi o il divieto di svolgere attività all’aperto), i sacrifici imposti sono sproporzionati rispetto all’obiettivo di contenimento della diffusione del virus del Covid-19, oltre che di dubbia efficacia.
Portare migliaia di imprese al fallimento, continuare a deprimere l’economia, è sproporzionato rispetto all’esigenza di contenere la diffusione di un virus ormai endemico e che, a dispetto della comunicazione allarmistica che ci accompagno da oltre un anno, resta un virus a bassa letalità e che comunque può essere affrontato con misure meno depressive e liberticide.
Viene difficile credere che il Governo non sia consapevole delle conseguenze delle misure adottate per l’economia generale, per migliaia di imprese, per centinaia di migliaia di lavoratori.
Il vaccino come soluzione illusoria che ci farà uscire dalla crisi
Non si tratta nemmeno di aspettare che il 70% della popolazione venga vaccinata, in modo da ottenere l’immunità di gregge, perché la capacità di mutazione del Sars-Cov-2 esclude questa possibilità. Chi intende sottoporsi a vaccinazione dovrà continuare a farlo periodicamente, per gli anni a venire, così come avviene per l’influenza. E intanto la popolazione aspetta la fine dell’incubo con l’arrivo del vaccino.