A giudizio per essersi opposti alla realizzazione della zona rossa, che paradossalmente è considerata abusiva dalla stessa Procura. Solidarietà ai 25 No TAP da tutto il Movimento, che parla di giustizia con due pesi e due misure. Repressione degli illeciti o del dissenso?
Si è tenuta oggi la seconda udienza del processo a carico di 25 No TAP, rinviati a giudizio per aver difeso la loro terra e per essersi opposti a TAP e ad attività che ritengono ingiuste, illegittime o addirittura illecite.
Ovviamente non sono questi i reati contestati, ma alcuni reati contravvenzionali, per aver manifestato senza preavviso e violato la zona rossa. In qualche caso sono stati contestati i reati di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento, violenza privata (per aver impedito il passaggio di un’auto di Almaroma). I fatti contestati risalgono al 13 novembre 2017 e i dimostranti protestavano contro la realizzazione della zona rossa.
Paradossalmente, per la stessa Procura di Lecce quella zona rossa sarebbe abusiva. Ed infatti TAP e i vertici di alcune aziende appaltatrici della multinazionale sono a giudizio per ciò che gli attivisti contestavano e denunciavano. La prima udienza del processo contro TAP si terrà l’8 maggio e vede 19 imputati a vario titolo.
Tra questi indagati spicca Michele Mario Elia, ex country manager di TAP, già condannato dalla Corte d’appello di Firenze a 6 anni di reclusione omicidio plurimo colposo e disastro ferroviario, nell’ambito della cd. Strage di Viareggio, in cui morirono 33 persone. Elia avrebbe dovuto essere ascoltato oggi come testimone contro i 25 No TAP, ma era assente.
Dunque i No TAP sono a processo essersi opposti ad un’opera che – per gli inquirenti – sarebbe frutto di reati.
Il volto severo della legge e della giustizia contro i manifestanti
La giustizia contro i No TAP e in generale contro i dimostranti che in tutto il Paese si oppongono a grandi opere o infrastrutture ritenute pericolose, altamente impattanti, sulle quali gli interessi e la garanzia di partecipazione delle popolazioni spesso restano inascoltati, mostra il suo volto più severo. Costituito non solo dallo spettro di una pena detentiva, ma anche dal rischio di vedersi comminate pesanti sanzioni pecuniarie o limitazioni alla libertà di circolazione.
Le recenti novità normative in materia di pubblica sicurezza hanno fatto fare un salto all’indietro al Paese di diversi decenni. Il cittadino che manifesta viene visto come un potenziale criminale, anziché come un cittadino che esercita i suoi diritti costituzionalmente riconosciuti.
Le sanzioni per dei reati contravvenzionali (come manifestazione non autorizzata) appaiono sproporzionate, più orientate a reprimere il dissenso che a garantire l’ordine pubblico e la sicurezza.
Il principio di “ragionevolezza”, espresso dall’articolo 3 della Costituzione, dovrebbe essere un criterio guida tanto per chi crea le leggi, quanto per chi le applica, i quali dovrebbero in ogni caso avere un’adeguata considerazione conto degli interessi coinvolti, evitando eccessivi e sproporzionati sacrifici degli interessi non ritenuti prevalenti. Il principio della ragionevolezza è chiamato a compensare la rigidità della macchina legislativa ed amministrativa e la fredda astrattezza e generalità della legge di fronte al caso concreto e particolare.
Sarebbe irragionevole giudicare delle azioni astrattamente illecite senza considerare il contesto in cui si sono svolte, in cui una popolazione denuncia delle ingiustizie sociali, prova rabbia e preoccupazione nel vedere la propria terra ferita, colonizzata, militarizzata, per far posto ad una mega infrastruttura che trasporta gas ad alta pressione, rilascia emissioni e trasforma irreversibilmente un territorio di grande pregio.
Il professore Michele Carducci, docente di diritto costituzionale comparato presso l’Università del Salento, a tal proposito scrive:
‘Lo “stato d’ira”, determinato da un “fatto ingiusto altrui”, è contemplato dal Codice penale italiano (artt. 62 n. 2 e 599) come anche l’ “aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale”.
Ma che cosa succede se lo “stato d’ira” coinvolge i cittadini più attenti e consapevoli nel cogliere e denunciare il “fatto ingiusto altrui”? E se questo “fatto ingiusto altrui” è oggetto di un procedimento di accertamento penale che ne ipotizza, con prove già cristallizzate, la illegalità? E se quei cittadini – stigmatizzati da un Prefetto della Repubblica italiana – esprimono “motivi di particolare valore morale o sociale” di sempre più diffusa percezione (come, per esempio, la lotta contro l’estrattivismo climalterante, l’illegalità ambientale e paesaggistica dissimulata attraverso la formula magica della “strategicità nazionale”, il negazionismo verso la dannosità – scientificamante acclarata – delle nuove opere fossili)?
E come non ricordare il dibattito teologico e filosofico sull’ira come “vritù profetica” di fronte a situazioni di deturpazione, ingiustizia, violenza, quando tollerate per complicità o pigrizia mentale?’
All’udienza erano presenti diversi rappresentanti del Movimento No TAP e altri simpatizzanti, giunti lì a portare solidarietà ed esprimere vicinanza agli imputati.
‘Il movimento NO TAP tutto – aveva scritto nei giorni scorsi in una nota – ha intenzione di presenziare con rispetto e fermezza all’udienza a garanzia di una giustizia che sull’argomento TAP nei tribunali di Lecce sembra avere due pesi e due misure. Vi invitiamo a partecipare per vigilare e dare voce a tutti i cittadini liberi e coraggiosi.’